Torino, il Collegio respinge tutte le eccezioni

Una divergenza che deve essere ricondotta a valutazioni inerenti dinamiche intercomunitarie e comportamenti, attitudini, incomprensioni sedimentate in molti anni di vita comunitaria. Un provvedimento che in alcun modo può essere ricondotto a valutazioni o misurazioni legate alle differenti interpretazioni delle legge ebraica, ma al difficile rapporto fra diverse componenti di una comunità. Una decisione che in alcun modo può gettare ombre sulla dirittura delle persone coinvolte, ma si limita piuttosto a prendere atto della conclusione di un percorso, della necessità di trovare un nuovo equilibrio all’interno della collettività ebraica torinese. Il provvedimento emesso dalla Commissione ex articolo 30 dello Statuto dell’ebraismo italiano, il primo del genere da quando le norme che lo prevedono sono state create, sta suscitando interesse e dibattito per le vicende che vi sono connesse, ma anche per i principi generali che vi sono inevitabilmente legati. Questo il senso che si evince dal lungo testo notificato nelle scorse ore alle due parti (il ricorrente rabbino capo della Comunità torinese rav Alberto Moshe Somekh e il Consiglio della stessa Comunità torinese), contrapposte riguardo al provvedimento di revoca dell’incarico gerarchico di rabbino capo emesso all’inizio dello soccorso anno dallo stesso Consiglio comunitario. Il documento non fa altro che confermare le determinazioni emesse già da tempo in sede locale dalla Comunità di Torino, determinazioni riguardanti esclusivamente la revoca dell’attribuzione gerarchica della funzione di rabbino capo.
Il provvedimento, che da stamane è depositato alla Segreteria comunitaria e consultabile da tutti gli iscritti, è stato emesso dal Collegio composto da sette componenti e presieduto dal Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (la composizione, fissata dallo Statuto, prevede un collegio di sette componenti: tre rabbini, tre probiviri Ucei e il presidente o un suo delegato), parla chiaro. Il Collegio, come è noto, non era chiamato a pronunciarsi su fatti che appartengono alla sola e autonoma valutazione degli ebrei torinesi, ma riguardo alla legittimità e alla fondatezza di un provvedimento di cui si era lungamente discusso e infine fu adottato circa un anno e mezzo fa. Tale provvedimento è stato considerato legittimo e tutte le eccezioni sollevate dai ricorrenti sono state respinte.
Il Consiglio della Comunità, riunito ieri in serata, ha preso atto della decisione e ha approvato la relazione che il Presidente Tullio Levi porterà all’assemblea degli iscritti convocata per questo lunedì, 17 maggio. Tutti gli appartenenti alla Comunità possono da subito prendere visione del complesso documento, scaturito dopo lunghi mesi di udienze, che ricostruisce la vicenda. Molti stralci, soprattutto quelli che evocano i principi generali e non i casi personali, saranno comunque con ogni probabilità anche enunciati e discussi pubblicamente nel corso dell’assemblea.
Il Consiglio ha anche deprecato le informazioni parziali e distorte poste affrettatamente in circolazione nelle scorse ore. Elementi che rischiano di lasciare intendere un tentativo di delegittimazione della figura rabbinica sotto il profilo della sua preparazione, o della sua competenza o della sua moralità.
Al di là di reazioni emotive e di opinioni di parte più o meno motivate, il documento esprime in maniera documentata e inequivocabile il giudizio su una incompatibilità e sulle sue ricadute e nulla altro, senza addentrarsi in giudizi che appartengono esclusivamente agli ebrei torinesi e agli attori delle stesse vicende. Lo stesso rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni, stando a dichiarazioni non smentite e rilasciate a organi di informazione diffusi già questa mattina, ha tagliato tagliato corto mettendo a nudo con poche parole la natura delle speculazioni circolanti.
“Il dispositivo – riporta ‘Il Messaggero’ di stamane – è lungo quasi 30 pagine e descrive un rapporto di fiducia che si è venuto sgretolando. ‘Ma non ha nulla a che vedere con l’ortodossia di Somekh o con una sua presunta eccessiva rigidità nell’osservanza delle regole – afferma il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni – Il vero problema è stato di natura caratteriale, pastorale e non rituale dunque. Si è modificato il suo rapporto col pubblico”.
Questa mattina sia il Rav che il Presidente della Comunità hanno svolto assieme a molti altri, dopo una pubblica stretta di mano, il programmato intervento di presentazione della realtà ebraica torinese ai giovani ebrei di tutta Italia giunti per partecipare al corso di formazione Yeud. L’argomento è stato evocato solo di sfuggita e tutti i presenti hanno mostrato il desiderio di determinare un clima estremamente composto e sereno anche di fronte agli interrogativi, alle difficoltà e alle mutazioni che la Comunità si trova ad affrontare.

Statuto dell’ebraismo italiano

(Articolo 30 – Secondo comma)

“La nomina del Rabbino capo diventa definitiva dopo tre anni di esercizio dell’ufficio nella medesima comunità. (…) Più comunità possono accordarsi per la nomina di un unico rabbino capo. Qualora sussistano gravi motivi il Consiglio, con la maggioranza di due terzi, può deliberare la revoca del rabbino capo, sentito personalmente l’interessato e previa comunicazione alla Consulta rabbinica, che deve esprimere il proprio parere preventivo al Consiglio. In caso di revoca, il rabbino capo può ricorrere a un Collegio formato da tre rabbini, di cui uno nominato dal Consiglio medesimo, uno dal rabbino in questione, il terzo dalla consulta rabbinica, nonché da tre probiviri nominati dal Collegio di probiviri e presieduto dal Presidente dell’Unione o da un suo delegato”.