Qui Torino – La Comunità guarda avanti

“Il Consiglio della Comunità Ebraica di Torino deplora che la notizia relativa alla decisione del Collegio in merito alla procedura di revoca sia stata diffusa dalla stampa prima che il Consiglio stesso avesse avuto la possibilità di riunirsi, di esaminare la decisione stessa, di prendere le relative decisioni e di informare gli iscritti. Il Consiglio deplora che molte notizie di stampa abbiano travisato le proprie posizioni nonché i motivi che hanno portato alla decisione del Collegio e forniscano una informazione non corretta”.
“Sono infatti assolutamente infondate le illazioni circolate su alcuni media ebraici e non, che il contenzioso con rav Somekh nasca da una presunta eccessiva rigidità nell’interpretazione dell’Halachà: non vi è mai stato – come rilevato anche nella sentenza del Collegio Arbitrale – né mai avrebbe potuto esserci alcun “tentativo del Consiglio di forzare Rav Somekh ad assumere comportamenti lassisti” tanto più in tema di conversioni all’ebraismo (ghiurim). La Comunità di Torino rivendica infatti, con convinzione e orgoglio, la sua connotazione di Comunità ortodossa, secondo quanto stabilisce lo Statuto dell’Ebraismo Italiano; tale sarà anche la sua connotazione futura, nel rispetto dell’autonomia dell’istituzione rabbinica e delle proprie tradizioni e nella certezza che questi principi debbano valere per tutte le Comunità ebraiche italiane: le scelte che verranno effettuate lo dimostreranno”.
Con queste dichiarazioni ufficiali, che rivelano un momento delicatissimo e difficile per la realtà ebraica del capoluogo piemontese, il Presidente della Comunità Ebraica di Torino ha aperto la tesa assemblea degli iscritti che ieri sera ha preso atto del verdetto del Collegio Arbitrale competente a decidere riguardo la validità della revoca dell’incarico gerarchico di rabbino capo a Rav Alberto Moshe Somekh.
Costellata di interventi talvolta emozionali, ma sempre saldamente ancorati nella cultura del civile confronto che contraddistingue l’ebraismo italiano, l’assemblea, che si è conclusa con una conferma con un solo voto contrario riguardo alla componente della relazione di bilancio e con un’approvazione a larga maggioranza (47 a favore, 36 contrari e numerosi astenuti) per la componente più politica della relazione, si è conclusa a tarda notte e ha fatto segnare un tasso di partecipazione nel corso delle lunghe ore della sua durata di gran lunga maggiore di quello abituale.
Fra i momenti da segnalare, la lettura pubblica di una lunga relazione del Consiglio che ha dato conto anche agli iscritti che non ne avessero presa visione dei motivi che hanno indotto la Commissione statutaria presieduta dal presidente Ucei e composta da tre rabbini e da tre probiviri dell’Unione, a respingere tutte le eccezioni a suo tempo sollevate dal rav Somekh. Le dimissioni di tre consiglieri di minoranza (Maurizio Piperno Beer, Raffaello Levi e Silvia Di Chio) che hanno in questo modo inteso manifestare pubblicamente il proprio dissenso dai contenuti della decisione che lo stesso ricorso del rav Somekh aveva suscitato. Molti interventi, fra cui quello della vicepresidente dell’Unione Claudia De Benedetti e di Franco Segre del Gruppo di studi ebraici, che toccando corde diverse hanno sollecitato una Comunità lacerata a guardare avanti, a superare le divisioni e a impegnarsi per il futuro della realtà ebraica torinese.
Il desiderio di ricostruire e di guardare avanti si è fatto faticosamente strada fra emozioni e lacerazioni ancora non sopite, ma che in un modo o nell’altro dovranno essere superate. Parole di stima e di apprezzamento per il rav Somekh sono venute da più parti. Da coloro che ne hanno sostenuto con decisione la sua posizione gerarchica e che non hanno visto riconosciute le loro ragioni e da coloro che si sono impegnati per un cambiamento nell’organizzazione dell’Ufficio rabbinico torinese. Il Presidente Levi, in particolare, augurandosi che il Rav trovi nel quadro della realtà ebraica torinese o italiana la migliore collocazione possibile, ha fra l’altro pubblicamente lodato la misura e la dignità dimostrate nel momento, difficile per tutti, dell’accoglimento del verdetto.

gv