“Leggi del 1938 e cultura del razzismo, storia, memoria, rimozione”
“Leggi del 1938 e cultura del razzismo, storia, memoria, rimozione”, lo studio a cura di Anna Foa, docente di storia moderna presso la prima Università di Roma, Isabella Iannuzzi collaboratrice del Dipartimento di Storia moderna e contemporanea dell’ateneo romano e Marina Beer docente di letteratura italiana della Sapienza (edito da Viella) è stato presentato alla Biblioteca “Angelo Monteverdi” della facoltà di Lettere “ La Sapienza”.
All’origine di questo volume, il quale si compone di una serie di contributi da parte di studiosi appartenenti ad ambiti disciplinari diversi, c’è un convegno svoltosi il 26 gennaio 2009 presso la facoltà di lettere e filosofia della Sapienza in occasione della Giornata della Memoria. Il filo conduttore che collega i diversi saggi riguarda l’analisi della diffusione del razzismo nell’Italia degli anni trenta e i vuoti di memoria dell’elaborazione italiana di questa pagina dolorosa della storia. Le leggi del 1938 ritrovano la loro matrice in una cultura della razza che affonda le proprie radici già nella seconda metà dell’Ottocento. Una cultura che dunque si è alimentata con il passare degli anni, una cultura che si basa su un presupposto scientificamente falso, quello dell’esistenza delle razze e che impone l’idea della supremazia di alcuni popoli su altri, un germe che ha attaccato e si è appropriato del pensiero e che ha trovato forma ed espressione in una molteplicità di livelli, nella letteratura, nella sociologia, nell’arte e nelle scienze biologiche e naturali. Un fiume in piena difficile da arginare.
Anche se oggi la condanna del razzismo è comunemente accettata, la diffusione dell’ idea che l’umanità si divida in razze e che il colore della pelle o l’appartenenza a una identità religiosa determini l’esistenza di “diversi” rappresenta ancora un ostacolo da dover superare. L’importanza della pubblicazione di questo volume si annida proprio nell’avere una funzione didattica nelle scuole e nelle università al fine di sradicare considerazioni errate che potrebbero prendere vita tra le nuove generazioni.
“Il libro esamina i temi centrali e caratterizzanti di questa pagina vergognosa della storia” afferma lo storico Giovanni Sabbatucci il quale ha aperto la presentazione del volume ed ha continuato il suo intervento mettendo in rilievo proprio come “il tratto comune di questi studi, non solo del libro in questione ma più in generale, sia l’enfasi posta sul carattere traumatico delle leggi, le quali hanno rappresentato una rottura nella storia italiana e nella vita delle vittime”.
Contro le interpretazioni che tentano di dare letture banalizzanti è necessario secondo lo storico prendere coscienza della gravità di queste leggi le quali “furono un trauma non solo in quanto infamia morale e premessa per lo sterminio ma anche in quanto mostruosità giuridica”.
Sabbatucci riflette poi sulla genesi delle leggi del 1938 analizzando se esse rappresentino una svolta rispetto al prima o se siano il risultato della precedente storia del fascismo, uno sviluppo di premesse già contenute.
“E’ difficile prendere una posizione netta” afferma lo studioso “esse furono una svolta ma non del tutto repentina e imprevedibile poichè vanno anticipate già agli anni della guerra in Etiopia, le leggi non sono comunque la logica conseguenza della precedente storia fascista”.
Molti stereotipi erano comunque già presenti nella società italiana. Sabbatucci cita alcune pagine degli scritti giovanili di De Gasperi nei quali “si trovano giudizi che oggi ci farebbero vergognare” afferma lo storico il quale rivolge poi la sua attenzione alla assenza di reazioni contro tali leggi anche nel mondo antifascista riconducibile a una “carenza di ciò che è lo stato di diritto, l’assenza di reazioni era il frutto di una specie di assuefazione allo strazio dei diritti della persona”. Sabatucci conclude il suo intervento lasciando la parola a Tommaso dell’Era non prima però di aver sottolineato come la lettura del volume in questione sia di assoluta importanza e come questo “offra materiale per profonde riflessioni”.
Tommaso Dell’Era, storico dell’Università della Tuscia, ha poi sottolineato e riconosciuto “il valore di operazione culturale che questo volume rappresenta”. Oltre ad offrire un’analisi molto ampia degli avvenimenti del 1938 il testo è permeato da un elemento che, dice Dell’Era “percorre tutti i saggi ed è il tema della frattura e della continuità”. L’intervento dello storico dell’università viterbese si concentra proprio su una attenta e profonda analisi di alcuni dei saggi presenti nel volume come ad esempio quello di Elisabetta Mondello, professore associato di Letteratura italiana contemporanea alla Sapienza, intitolato “Tre, cinque, dieci volte mamme, dal sessismo del primo Novecento alla procreazione della razza italica”.
“E’ un libro importante che affronta il tema e allarga l’orizzonte del discorso alla cultura del ‘900. Pone sul tavolo una serie di riflessioni amplissime” queste le parole di Francesca Bernardini Napolitano, dell’Università “La Sapienza”, nell’aprire il suo intervento.
La studiosa pone l’accento sulle radici lontane dell’antisemitismo e del razzismo le quali iniziano poi ad acquistare sempre più spessore già verso la fine del 1920. “Il danno operato dall’antisemitismo per la cultura italiana è drammatico” continua la professoressa la quale sottolinea come le leggi razziali abbiano voluto cancellare tutto ciò che era l’ identità ebraica e come la loro applicazione “fu un lavoro di una capillarità impressionante”.
Nel suo intervento la studiosa sottolinea come non ci sia un’unica ragione nella genesi dell’antisemitismo ma come questo sia dovuto al convergere di una molteplicità di cause come “l’imperialismo, il nazionalismo il quale porta ad una ridefinizione del concetto di razza e di identità italiana”.
La mancanza di una reazione forte da parte della popolazione e l’assenza di un coro di proteste contro queste leggi rappresenta un ulteriore punto di riflessione su cui soffermarsi anche se non sono mancate figure che esplicitamente hanno preso le distanze dal moto persecutorio antiebraico “Massimo Bontempelli, fascista, fin dal 1934 iniziò a prendere le distanze dal Regime, quando nel 1938 gli offrirono la cattedra di Momigliano lui la rifiutò” e ancora spiega la studiosa “anche Giuseppe Ungaretti quando rientrò in Italia dal Brasile protestò pubblicamente contro le leggi razziali”. Una miniera di informazioni si può poi ricavare dalla lettura de “Il Corriere dei Piccoli” anche se in esso “non si trovano interventi antisemiti ma piuttosto un razzismo legato all’Africa” aggiunge la studiosa la quale invita a prendere visione di alcuni contenuti della letteratura per l’infanzia del periodo fascista.
Alla conclusione della presentazione prende vita un dibattito a cui partecipano i curatori, gli autori del volume e alcuni studenti presenti all’evento. Anna Foa prende la parola ringraziando i relatori. La storica si sofferma su alcune delle tematiche affrontate durante il dibattito come il rapporto tra antisemitismo e chiesa parlando della figura di Padre Gemelli e l’analisi delle radici delle leggi razziste italiane affermando di essere convinta “della differenza tra l’opera di persecuzione attiva come quella del ’38 e il clima antisemita che monta” sottolineando come “questo clima antiebraico abbia anche impedito delle reazioni”.
Una riflessione contenuta nella parte conclusiva della introduzione al volume ci ricorda che “le sopravvivenze della cultura della razza sono ancora fra noi, basta navigare in Internet per accorgersi quanto lo siano […] la nozione di umanità, inclusiva di tutte le forme della specie umana, è una nozione che appare tardi nella storia, e si diffonde in modo limitato e intermittente. Una conquista precaria, da tener ben stretta, e da imparare a riconoscere da capo ogni volta, nel confronto tra noi e gli altri”.
Valentina Della Seta