ebraismo…
Lo scorso venerdì Alberto Cavaglion ha riproposto in queste pagine il tema del rapporto tra antifascismo ed ebraismo, partendo dall’epistolario di Vittorio Foa. Perché c’erano tanti ebrei nelle file antifasciste? E come era determinante in loro l’origine ebraica? La valutazione degli storici che hanno studiato le biografie dei personaggi è che “la religione della libertà, alla quale i protagonisti dell’antifascismo ebraico si convertiranno, …, sarà sempre quella di Croce, non la narrazione di Esodo”. L’ebraismo sarà per loro una scoperta tardiva nel corso di un “itinerario a ritroso”. Eppure questo non spiega ancora perché tanti ebrei siano andati controcorrente – e continuino a farlo -. E allora non si può fare a meno di considerare cosa significhi essere ebreo anche se si fa di tutto per cancellare la propria identità o sublimarla in ideali considerati superiori, significa, anche se non si è religiosi, appartenere a un gruppo religioso che rifiuta di accettare i dogmi e gli idoli della maggioranza e che quindi si pone criticamente rispetto alla realtà convenzionale; non recepire l’idea per cui il messianesimo si è realizzato, e pensare invece al mondo come a qualcosa che deve essere riparato; portare la memoria di persecuzioni del proprio gruppo e quindi la rabbia per l’intolleranza; avere a che fare ogni giorno con qualcuno che non ti capisce; avere un’ansia di giustizia sociale. Mettete tutti questi ingredienti nella famiglia giusta, al posto giusto e al momento giusto, e avrete un bel gruppo di rivoluzionari ebrei. E sono ingredienti decisamente ebraici. Solo che se vengono usati in un contesto di sradicamento e di incoerenza perdono identità e spesso diventano anche autodistruttivi.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma