OyOyOy!: il gran finale con Jonathan Kashanian

“Chiudiamo l’edizione 2010 di OyOyOy! con la voglia di ricominciare, pensando già al prossimo anno” spiega Elio Carmi, vicepresidente della Comunità ebraica di Casale. Cala, dunque, il sipario sulla quinta edizione del Festival internazionale di cultura ebraica. La oramai celebre rassegna monferrina si è conclusa ieri, domenica 23 maggio, con due protagonisti d’eccezione: il vino, “medicina e succo della vita”, dal titolo della conferenza della dottoressa Victoria Acik, e Jonathan Kashanian, vincitore dell’edizione 2006 del Grande Fratello e noto showman televisivo.
“Secondo quanto si legge nel Talmud” ha spiegato la Acik durante il primo incontro della giornata, organizzato nel cortile delle Api della comunità di Casale “al mondo non vi è nulla che abbia dato tanti dispiaceri all’uomo come il vino. Dall’altra parte i maestri ricordano anche come non vi sia gioia nella festa senza vino”. Vino e tradizione ebraica hanno un legame profondo quanto antico “Noè” racconta la dottoressa “portò nell’arca alcuni tralci di vite. Purtroppo, al momento di piantarli, spuntò il perfido Satan che riuscì a sacrificare sul terreno un agnello, un leone, una scimmia e un maiale. Da allora se si beve un bicchiere di vino si diventa mansueti come agnellini; due, coraggiosi come leoni; tre, ci si scatena come scimmie; quattro, ci si rotola come maiali”. Anche nella tradizione ebraica, inoltre, si fa riferimento alla loquacità che il vino porta con sé: il celebre aforisma latino “in vino veritas”, infatti, corrisponde all’ebraico “nichnas yayn, yotzè sod”(entra vino, esce un segreto).
Di kasherut ha parlato Roberto Robotti, cuoco e cofondatore dell’Associazione Gan Ha Gefen, che ha poi guidato il pubblico nella degustazione di vini e assaggi kasher.
Ultimo atto del festival è stato l’incontro dal titolo “Essere giovani a Gerusalemme oggi” con l’artista Jonathan Kashanian e la professoressa Sarah Kaminski, docente di ebraico all’università di Torino. Prendendo spunto dalla pubblicazione di La vita graffiata (edizioni Sonda) della scrittrice israeliana Tamar Verete-Zehavi, diario di un’adolescente vittima di un attentato terroristico, i relatori hanno dialogato sulla complessità della società israeliana, dinamica, vitale ma lacerata da un conflitto interminabile. “In Israele, i miei amici e coetanei” sostiene Jonathan, israeliano di nascita ma in Italia dall’età di tre anni “hanno un incredibile fede nel futuro, hanno voglia di vivere e sperimentare. Dopo l’esercito, passaggio obbligato per qualsiasi diciottenne, i ragazzi israeliani raggiungono una consapevolezza diversa della vita: sanno quanto è prezioso il tempo a nostra disposizione e sembrano non volerne sprecare nemmeno un minuto. Carpe diem dicevano i latini”. Dietro al cappello e l’abito elegante, Jonathan sfodera una capacità e lucidità di analisi che nell’immaginario, forse pregiudizio, comune non si addice a un ex grandefratelliano. “Cultura e intelligenza non hanno confini” racconta lo showman “non importa dove ti trovi, che tu sia al Gf o alla conferenza intellettuale, non puoi cambiare ciò che sei”. Anzi con un sorriso confessa “nel mio piccolo sono riuscito a portare nelle case degli italiani un’idea diversa di Israele e del mondo ebraico. La risposta del pubblico è sempre stata di grande curiosità e forse ho contribuito al venir meno di alcuni pregiudizi”. Poi un sguardo al libro della Zehavi “in La vita graffiata” spiega Kashanian “emerge la normalità della società israeliana, così vicina e allo stesso tempo così lontana dalla nostra. I giovani di Tel Aviv, Haifa, Eilat leggono i Viaggi di Gulliver o Harry Potter, ascoltano Bob Marley ma dall’altra parte si confrontano con un conflitto duro e doloroso”. Su questa contraddizione riflette anche la professoressa Kaminski “nel libro viene presentata la realtà israeliana, lacerata dalla guerra ma allo stesso tempo viva, allegra. Si parla di una ragazza adolescente, della sua voglia di innamorarsi ma anche della difficoltà di superare la perdita di un amica (ndr uccisa nell’attentato), della ricerca sofferta e tumultuosa di comprendere, della fatica di perdonare”. Sono le difficoltà, i graffi di una società che vive il presente intensamente, non si perde mai d’animo: “dopo uno degli attentati a Tel Aviv” ricorda Jonathan “moltissimi soldati furono dispiegati nelle strade della città. Dovevano pattugliare uffici, discoteche, autobus con orari massacranti. Bene, in quei giorni anche le mamme scesero nelle piazze per portare a questi soldati cibo e sostegno. Un esempio di solidarietà e di coesione sociale. Perché la vita va avanti”. Israele è questo ed è molto di più “è il paese in cui centinaia di culture convivono e si influenzano” spiega entusiasta Jonathan “è il paese dei profumi, delle spezie, dei sapori conditi dal calore mediorientale. Io vado in Israele circa cinque volte l’anno e ogni volta me ne innamoro. Vi sfido ad andarci e rimanere indifferenti davanti alla sua bellezza”.

Daniel Reichel