Davar Acher – Il dito e la luna

Un mio pezzetto, pubblicato domenica su queste pagine, è stato severamente stroncato da un’illustre collaboratrice di questo stesso sito. Come autore sono un po’ triste, perché credevo di aver usato in abbondanza e esplicitamente la ben nota figura retorica dell’ironia; ma sono stato preso in castagna e rimproverato proprio dove cercavo di essere paradossale. D’altro canto, se un’illustre cattedratica di filosofia del linguaggio non capisce la mia ironia, dev’essere imperfetta l’ironia, non certo cattiva lettrice la cattedratica. Accetto dunque l’umiliazione e prometto da ora in poi di essere serissimo e di non trarre più in inganno i lettori con la mia scrittura irregolare, oltre che “irritantemente vittimistica”, “viscerale”, “imprudente”, “inappropriata” e “senza riflessione”, “chiassosa e appariscente”; per dirla in una parola “sconsiderata”. Chiedo scusa alla chiarissima professoressa se mi sono dimenticato qualche altro suo gentile complimento. E naturalmente come articolista prometto di non farlo più. Essere irritanti è male. Niente più vittimismo, niente più chiasso e apparenza. Solo severa riflessione, “ogni giorno una piccola cosa per Israele” come i boy scout. Se ci ricasco, se ricomincio a irritare i benpensanti, l’illustre cattedratica farà bene a mettermi dietro la lavagna col berretto dell’asino.
Come ebreo però, mi resta un dubbio. Nel momento in cui Sua Eccellenza il Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran (che nomino senza alcuna vittimistica e sguaiata ironia, anzi con la timorosa meraviglia dell’ebreo educato di fronte ai potenti minacciosi), si trova ormai a un passo dalla bomba atomica, senza che nessuno lo fermi, e dichiara la distruzione di Israele (non solo dei miei cugini, lo ammetto) primo obiettivo del suo distinto regime, è più importante cercare di attirare l’attenzione di tutti su questo trascurabile dettaglio, magari con qualche concitazione; o bisogna invece parlarne invece solo un po’ e a voce bassa, non troppo di frequente, per carità, e con le buone maniere del caso, in modo da non fare brutta figura con i vicini? Mentre avanzano i boicottaggi (anche in Italia! Alla Coop sotto casa!), le minacce, gli incendi alle sinagoghe, le violazioni dei cimiteri eccetera eccetera, la buona educazione vuole che ce ne stiamo tutti zitti? Facendo finta di non vedere? Articolando dei pensieri gentili “per spiegare anche a chi non lo sa (o non lo vuol sapere) quanto sia fondamentale per il mondo” Israele, cioè parlando d’altro? Se una guerra, il cielo non voglia, investisse di nuovo Israele, o ci fosse un’azione concertata della comunità internazionale per violare la sua sovranità, mostreremmo un’elegante distacco per far capire ad amici e colleghi che noi non siamo affatto viscerali, siamo gente per bene e non estremisti? Sorrideremmo benevoli mentre bruciano la bandiera col Maghen David? Proclameremmo senza posa il nostro amore all’idea di Israele, o a quell’Israele ideale che non c’è, badando però a non sporcarci le mani con quelle cose così poco filosofiche ed eleganti che sono il governo di Israele, il suo Stato, la sua gente, il suo esercito? Continueremmo a discettare sulla nostra tradizione culturale e sulle nostre speranze messianiche, a celebrare la memoria della Shoà (ma non troppo, meglio non esagerare), a studiare i registri delle antiche comunità e ad affaticarci sul pensiero dei cabbalisti, ma eviteremmo il compito banale di occuparci della guerra di propaganda di oggi che prepara la guerra degli eserciti e dei missili made in Iran?
Secondo quel famoso proverbio cinese, se un dito indica la luna (o la Bomba) è importante guardare la luna (o la Bomba), o piuttosto considerare se il gesto dell’indicare col dito non sia intollerabilmente maleducato secondo le norme del bon ton piccolo borghese?

Ugo Volli