Memoria – Esperienze a confronto

A dieci anni dal primo Giorno della Memoria, cosa possiamo raccogliere dell’esperienza dei viaggi didattici nei Campi di concentramento? Di cosa è utile fare tesoro e cosa è invece necessario cambiare o ripensare?. E’ intervenuto un pubblico molto numeroso e attento, ieri, alla Casa della Memoria e della Storia a Roma, per l’appuntamento di riflessione e dibattito sui Viaggi della Memoria. L’incontro, moderato da Sira Fatucci, coordinatrice dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per il Giorno della Memoria, e introdotto dal responsabile della Biblioteca della Casa della Memoria Stefano Gambari, ha visto intervenire l’assessore alla Cultura dell’UCEI Victor Magiar, il direttore del Museo della Shoah di Roma Marcello Pezzetti, Stefania Consenti, giornalista de Il Giorno e autrice del libro “Binario 21” (edizioni Paoline), il presidente della Fondazione Memoria della deportazione – ANED Aldo Pavia, la storica dell’Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza Annabella Gioia. Durante l’incontro è stato proiettato un video su un viaggio della Memoria.
“Manca una storiografia dei Viaggi della Memoria”, ha detto Stefano Gambari introducendo. “Ma ritengo che l’esperienza sia sostanzialmente positiva. Non è paragonabile la consapevolezza e la conoscenza della Shoah che c’era nel dopoguerra o negli anni ’60, con quella che c’è oggi: segno che tale esperienza formativa, insieme al resto della didattica, funziona”.
“Spero che questo incontro sia solo il primo di una serie”, ha detto Sira Fatucci, introducendo l’intervento di Stefania Consenti. “E’ molto importante continuare la riflessione sui Viaggi, per capire quali obbiettivi sono stati raggiunti, e quali sono da raggiungere, e quel è la strada che dobbiamo intraprendere, pensando soprattutto ad un futuro privo di testimoni diretti”.
La Consenti ha concentrato il suo intervento sulla sua esperienza di “viaggiatrice della Memoria”, in veste di giornalista, estendendo la riflessione agli aspetti profondi ed emotivi, che coinvolgono le persone, cambiando radicalmente la loro sensibilità sul tema. “Attraverso l’esperienza di migliaia di giovani e professori, la memoria diventa una cosa viva, non relegata nel passato, ai libri di Storia”. La Consenti ha anche lanciato una proposta: “Perché non istituire un Osservatorio sui Viaggi?”.
Annabella Gioia ha incentrato il suo intervento sull’importanza dei Viaggi in quanto esperienza formativa invece che celebrativa. “Si è detto che gli studenti, quando tornano, sono diventati ‘testimoni’ – ha detto Gioia – Non sono d’accordo. Testimone è chi ha vissuto quella realtà. Nel nostro lavoro su queste tematiche dobbiamo guardarci da imprecisioni e giudizi o opinioni sommarie”.
Appassionato l’intervento di Marcello Pezzetti, che ha ripreso le opinioni di Annabella Gioia. “Non è vero che chi va ad Auschwitz è un testimone; e dobbiamo guardarci dai processi di identificazione, che non sono sani né utili. E’ importante non trasmettere inesattezza storiche ai ragazzi. Un giovane una volta ha detto: non sono un testimone, sono un ‘trasmettitore della Memoria’. Mi sembra una bella definizione”.
Aldo Pavia ha ripreso la tematica della dicotomia storia/esperienza emotiva. “Si può insegnare la Shoah? La visita nei campi dà stimoli emotivi. Ma la Storia, forse, è altro”.
Ha concluso il ciclo di interventi Victor Magiar, che ha parlato della propria esperienza dei Viaggi in modo molto coinvolgente. Nel suo giudizio positivo complessivo sull’esperienza formativa, Magiar ha poi ribadito il leit-motiv dell’incontro: “meglio una borsa di studio in più e una celebrazione in meno”.
Al termine dell’incontro sono intervenuti due ragazzi del Liceo Aristofane, che hanno partecipato a diversi progetti educativi sulla Memoria, oltre che a uno dei Viaggi.
La studentessa ha parlato dell’estrema importanza che ha avuto per lei il viaggio: “All’inizio ero anche infastidita dalle celebrazioni del 27 gennaio. Dopo il viaggio, ho cambiato completamente opinione”.
Molto interessante l’intervento dell’altro giovane: “Nonostante sia stato detto dai relatori che chi è andato non è un vero testimone, dirò una cosa fuori dal coro: io, dopo aver visto i campi di sterminio, mi sento un testimone”.

Marco Di Porto