Bassani inedito: ricordi di un ebreo ferrarese

Non mi ricordo quante volte, presentandomi a miei interlocutori israeliani o no, menzionando la mia città natale, mi sono sentito rispondere:”Ferrara? Dov’è?”. “Avete letto il “Giardino dei Finzi-Contini”? “Certo”, mi sono sentito rispondere “adesso ti abbiamo localizzato”. Riandando con la memoria al mio rapporto con il grande narratore, mi sento coinvolto in una combinazione di ricordi e di fantischerie, per lo più derivate da letture delle opere bassaniane, molteplici e ripensate nell’arco di decenni. Io ebreo ferrarese d.o.c., nato a metà degli anni Trenta, sono parte integrante del “Romanzo di Ferrara”. I miei ricordi risalgono ai giorni delle mie due prime classi delle elementari alla scuola ebraica di via Vignatagliata, nell’attesa del termine della lezione del professor Bassani, insegnante di mia sorella, ginnasiale, per essere riaccompagnato da lei a casa. Piccolo bimbo, in un cantuccio, rivedevo il regista della “Regina in berlina” di Sergio Tofano, la “Commedia” per antonomasia, che aveva dominato tutta una stagione del nostro mondo, parentesi di serenità alla vigilia della bufera. Suo padre era stato il mio mohel e le nostre rispettive famiglie erano legate da quei vincoli caratterizzanti la Comunità e la società cittadina ad un tempo. Riportandomi a sogni ad occhi aperti mi sono raffigurato, a volte, tra i banchi di Schola Italiana, nelle file retrostanti ai Finzi-Contini, magari, a Pesach, sovrapponendo una reminiscenza letteraria alle immagini di una inveterata memoria. Non ho mai “digerito” la ricerca, ormai pluriennale, dell’identificazione dei personaggi dell’opus bassaniano. Le grandi creazioni delle letterature fondono elementi biografici degli autori con la loro originalità creativa. Ho letto libri e articoli al proposito e sono giunto alla conclusione che restringere la narrativa di Bassani al pettegolezzo la si riduce ad un livello, direi, quasi giornalistico, mettendo in secondo piano il valore estetico e messaggi che i migliori critici hanno evidenziato. A me preme, pour cause, esaminare l’aspetto che ha più interessato il mondo ebraico. E’ Bassani uno scrittore ebreo o il Cantore della Città estense, i cui cittadini “israeliti”, sono stati, nel bene e nella tragedia, parte indissolubile? In poche parole, possiamo coinvolgere lo scrittore e il poeta, nella problematica dei “Prigionieri della Speranza” di Hughes, che classifica tra gli ebrei narratori come Svevo e Moravia, sviscerando, nelle loro opere, un intrinseco quid ebraico, di “ebrei senza saperlo” per dirla come Alberto Cavaglion? Il problema, a mio giudizio, è un altro. Bassani, esplicitamente, ci rappresenta un certo ebraismo, o meglio, la condizione ebraica delle comunità italiane in una determinata congiuntura storica, e nella loro specificità a confronto di altre diaspore. I personaggi del “Romanzo di Ferrara” sono i rappresentanti di una collettività che non si è mai estraniata dal mondo circostante, anche nei tempi del ghetto, la cui emancipazione è stata, quasi, senza scosse, in un inserimento organico nella vita, nella cultura dell’Italia unitaria fino allo scossone drammatico delle leggi razziste, fino al baratro del biennio ’43-’45. Bassani è la testimonianza letteraria di questi ebrei che a poco a poco avevano ridotto il loro retaggio a residui di una tradizione avita, pur confrontandosi con la maggioranza in rapporti esistenziali non sempre positivi. I nomi incisi nella “Lapide in Via Mazzini”, sulla facciata della secolare Casa della Comunità ferrarese, è il perenne memento di una frattura sanguinosa le cui conseguenze si sono perpetuate al presente. Il compito della nostra generazione è di trasmettere al di fuori i contenuti della Civiltà di Israele, arricchendo il mondo non ebraico di tesori spirituali e culturali spesso sconosciuti o travisati anche da noi stessi. Quando rivisito il Cimitero di Via delle Vigne rivedo solitario il piccolo cippo tombale di Bassani, nell’antico “orto degli ebrei” da lui tante volte rievocato, rifletto sulla catena delle generazioni passate e future, sulle mie radici di ‘italki’, di italo-israeliano, piccolissima tessera nel grande mosaico di Israel.

Reuven Ravenna