…Vishniac
Intorno a “Il mondo scomparso” di Roman Vishniac – l’opera fotografica che mostra il mondo dello schtetl polacco alla vigilia della sua eclissi – si è accesa una discussione negli Stati Uniti perché una ricercatrice che sta lavorando sul suo archivio fotografico ha scoperto un alto tasso di manipolazione nelle foto e nel montaggio di quel volume. E’ probabile che ciò sia avvenuto. Ma questo in un certo modo fa parte del gioco e in ogni caso non dice della partita che si gioca nell’incontro tra Vishniac e quel mondo. Una partita che riguarda anche la nostra condizione culturale. “Un mondo scomparso”, prima ancora che la disperazione, documenta la miseria della realtà quotidiana del mondo ebraico dell’Est Europa. E comunica questa condizione perché l’occhio di Vishniac, era consapevole di tre cose: quel mondo sarebbe scomparso; ciò stava avvenendo in silenzio; non c’era modo di salvare, se non fisicamente – almeno culturalmente – quel mondo che stava registrando nele sue foto. Ma questo aspetto si perde perché ciò che è prevalso dopo è uno sguardo in cui non c’è né la storia, né le persone vere e concrete. E’ prevalso lo “sguardo nostalgico” fondato sull’oblio della vita vera e causato dal lutto della scomparsa delle vite che abitavano quel mondo. Con quelle vite vere sono scomparse molte altre cose: la violenza interna, le lacerazioni, la miseria, i conflitti interni sociali e culturali, insieme all’antisemitismo che stazionava alle porte dello schtetl. La vita vera, quella che c’è in quelle foto, dice tutto questo. Ma la prevalenza dello “sguardo nostalgico” ha fatto sì che noi ora guardiamo quel mondo solo come un’icona o lo pensiamo in una versione disneyana, tanto patetica quanto falsa.
David Bidussa, storico sociale delle idee