Il nodo di Gaza – Un dramma senza fine

Non passa giorno che non se ne parli, e molto spesso a sproposito. La Striscia di Gaza, il piccolo territorio (appena 360 chilometri quadrati di estensione) situato tra Israele ed Egitto, è uno dei principali nodi da sciogliere per una risoluzione positiva del drammatico conflitto mediorientale. Nella Striscia, che prende il nome dalla città più popolosa nonché capitale Gaza City, vivono circa un milione e mezzo di persone (oltre il 99 per cento di religione musulmana), in larga maggioranza profughi o discendenti dei profughi palestinesi emigrati da Israele durante e dopo la guerra arabo – israeliana del 1948. Nonostante dal 2007 sia di fatto nelle mani di Hamas (che vi tiene come ostaggio il caporale di Tzahal Gilad Shalit), la Striscia di Gaza non è riconosciuta come uno Stato sovrano. Prima di Hamas, al suo governo si sono succeduti Egitto (dal 1948 al 1967) e Israele (dal 1967 al 2005, con diversi gradi di controllo). A seguito degli Accordi di Oslo firmati da Israele e dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) nel 1994, Israele mantiene il controllo militare dello spazio aereo, delle frontiere terrestri e delle acque territoriali. La Striscia è circondata da una barriera di sicurezza che al confine con l’Egitto diventa un muro, che spesso viene eluso senza grandi problemi: centinaia di tunnel sotterranei che corrono lungo i quindici chilometri del confine tra Gaza e Egitto costituiscono una ricca forte di reddito per i signori del contrabbando di armi egiziani e per i capi di Hamas.
È il 22 settembre 1948, quando al termine del conflitto arabo-israeliano la Lega Araba proclama il primo governo palestinese a Gaza City. Dopo la fine delle ostilità tra Israele ed Egitto (che aveva invaso l’area di Gaza da sud), l’armistizio del febbraio 1949 stabilisce i confini della Striscia. In breve tempo la popolazione aumenta in misura esponenziale a seguito del massiccio afflusso di profughi palestinesi provenienti da Israele. Gli egiziani resteranno ininterrottamente a Gaza fino al 1967, fatta eccezione per i quattro mesi di occupazione israeliana nel 1956 a seguito della Crisi di Suez. Gli israeliani tornano in pianta stabile a partire dal giugno del 1967, al termine della Guerra dei Sei Giorni. Nasce il primo insediamento israeliano a Gaza: Gush Katif. In breve gli insediamenti nella Striscia diventano 21. Nel 1979 Israele ed Egitto firmano un trattato di pace: il governo del paese arabo rinuncia a qualsiasi rivendicazione territoriale. La Striscia di Gaza rimane sotto amministrazione militare israeliana fino al maggio del 1994 quando, a seguito degli Accordi di Oslo, si verifica un graduale trasferimento di potere ai palestinesi. Gaza City diventa la prima sede provinciale della Autorità Nazionale Palestinese di Yasser Arafat. Con la leadership di Arafat la Striscia è messa in ginocchio da mala gestione e da numerosi casi di corruzione: esplode lo scandalo delle tangenti esorbitanti richieste per consentire il passaggio delle merci da Gaza. Nel settembre del 2000 scoppia la seconda Intifada. Il lancio di razzi e bombe da parte di guerriglieri palestinesi asserragliati nella Striscia verso le città israeliane situate nei pressi del confine è causa di fortissime tensioni, che si protraggono negli anni. Nel febbraio del 2005 il governo israeliano vota per un piano di disimpegno unilaterale da Gaza. Il piano viene completato a metà settembre. Gli insediamenti e le basi militari israeliane nella Striscia vengono smantellate e 9.000 coloni sono evacuati non senza problemi di ordine pubblico. Arriva il nuovo anno e per i palestinesi è tempo di andare al voto: alle elezioni parlamentari del 25 gennaio 2006 il partito fondamentalista Hamas stravince ottenenso 74 seggi su 132. Il governo israeliano e gli attori chiave della politica internazionale manifestano apertamente il proprio disappunto e minacciano sanzioni di vario tipo. Disordine politico e stagnazione economica portano molti palestinesi a emigrare dalla Striscia verso altri paesi. La situazione precipita e si arriva alla resa dei conti tra le due principali forze politiche palestinesi: nel gennaio 2007 scoppia la guerra civile tra Hamas e Fatah per il controllo di Gaza. La causa scatenante è l’assassinio del generale Muhammad Gharib, un alto comandante del Fatah, e della sua famiglia da parte di miliziani di Hamas. Dopo una serie di scontri viene raggiunta una tregua. Ma dura poco: i combattimenti proseguono fino al giugno dello stesso anno, quando Hamas ottiene il controllo della Striscia. Anche una parte del mondo arabo fa la voce grossa: Egitto, Giordania e Arabia Saudita sostengono che il leader del Fatah Abu Mazen sia l’unico politico legittimato a formare un governo. La Striscia è sempre più isolata, sia dal punto di vista diplomatico che economico. Pochi amici, tra cui spiccano l’impresentabile Ahmadinejad e altri personaggi assai discutibili. Anche se delegazioni diplomatiche di Hamas si recano spesso in Russia e in altri paesi europei per cercare appoggio e legittimazione. Il 23 gennaio del 2008, dopo mesi di preparazione, militanti di Hamas distruggono una parte del muro che divide Gaza e Egitto. Migliaia di palestinesi attraversano il confine in cerca di cibo e rifornimenti. Il presidente egiziano Hosni Mubarak ordina alle truppe di permettere il passaggio ai palestinesi in ma chiede di verificare che rientrando a Gaza non portino con sé armamenti di alcun tipo. Dopo violenti scontri tra esercito egiziano e guerriglieri di Hamas, il confine viene chiuso. Nel frattempo tornano ad essere lanciati razzi verso le città israeliane: nel febbraio del 2008 il conflitto tra israeliani e palestinesi si intensifica. Il 14 novembre Gaza viene bloccata. Dopo un periodo di 24 ore in cui non sono lanciati razzi o esplosi colpi di mortaio, i soldati di Tzahal facilitano il trasferimento nella Striscia di oltre 30 camion carichi di cibo, forniture di base e medicinali. Ma anche in questo caso la tregua dura poco: i qassam tornano a cadere su Sderot, Gaza torna ad essere isolata. Si arriva così al 27 dicembre 2008: da gennaio 3000 razzi sono stati lanciati verso il territorio israeliano. Il governo di Gerusalemme decide di reagire e di lanciare un segnale forte ad Hamas. Ha inizio l’operazione Piombo Fuso. L’esercito attacca numerosi obiettivi militari, centrando varie basi terroristiche. Le truppe entrano nella periferia di Gaza City e l’apparato di Hamas viene decimato, ma se si registrano ingenti perdite anche tra i civili. Le stime, dopo 22 giorni di combattimento, parlano di centinaia e centinaia di morti da ambo le parti. Cessate le ostilità, il blocco israeliano continua anche dopo la fine della guerra. Anche se è permesso il trasferimento nella Striscia, previo controllo delle autorità preposte, di medicinali e aiuti umanitari.

Adam Smulevich