Il nodo di Gaza – Israele analizza la crisi

Israele contro il mondo, il mondo contro Israele. Il caso Freedom Flottilla ha reso più profonda la frattura tra lo stato ebraico e la comunità internazionale; Unione Europea e Onu puntano il dito contro l’operazione “venti del cielo” e chiedono a gran voce l’apertura di un’inchiesta sul caso mentre le condanne all’azione militare dell’IDF si susseguono. Intanto, in Israele, cresce la sensazione di isolamento e i media si dividono: c’è chi parla di attacchi e delegittimazione ingiustificata, di un mondo anti-israeliano che rimane sordo davanti alle ragioni del governo di Gerusalemme; dall’altra parte, c’è chi critica aspramente le scelte dell’esecutivo e degli altri gradi dell’esercito, invocando dimissioni e punizioni esemplari.
“E’ quasi un riflesso incondizionato: bisogna accusare Israele” ha sostenuto il ministro Yossi Peled in un’intervista alla trasmissione mattutina Boker Tov Israel della radio Galgalatz, l’emittente dell’IDF. “E’ diventata una moda dover sempre mettere in discussione un evento in realtà nato per autodifesa. C’era un ordine chiaro: le navi non potevano raggiungere Gaza”. La critica di Peled non è solamente diretta alle continue accuse internazionali ma si riferisce anche ad alcuni media israeliani che, come ha fatto notare Micah Perdman di Boker Tov Israel, si sono duramente scagliati contro le decisioni del governo. Di rimando, Netanyahu, Barak e altri esponenti del Likud hanno attaccato giornali, radio e televisioni, definendo le aspre critiche come cattiva informazione. Schierato con l’esecutivo, Maariv, popolare quotidiano israeliano, titolava l’editoriale in prima pagina “Silenzio e saluto militare”, definendo un fallimento l’operazione ma riconoscendo come eroi i soldati della marina “scampati al linciaggio”. “Israele è impegnato in una guerra eroica come avamposto della democrazia” scrive il giornalista Boaz Bismuth su Israel Hayom, giornale gratuito di larga diffusione, e aggiunge “il mondo è tutto contro di noi”. Sulla stessa linea l’editoriale del Jerusalem Post “ovviamente gran parte della comunità internazionale si è precipitata a giudicare e a decidere sulla colpevolezza di Israele. E’ come se un torrente represso e rabbioso di odio anti-israeliano fosse riuscito finalmente ad emergere. E la critica, ovviamente, sarà intesa come una legittimazione per la parte più violenta degli attivisti, che penseranno di poter creare ulteriori incidenti di questo tipo”.
Di parere contrario Dan Kaspi, docente all’Università di Beer Sheva, su Yediot Ahronot che anzi diffida dal cercare all’esterno le colpe ma di guardare alle responsabilità israeliane. “Politicamente” scrive Kaspi “assistiamo all’ennesimo tentativo di distogliere l’attenzione. Il governo accusa alcuni giornali israeliani di cattiva informazione (הסברע – Hasbarah, gioco di parole in ebraico traducibile appunto con informazione cattiva), questo attacco ha una sua specificità: ogni volta che c’è un problema nella conduzione politica, primo ministro e soci accusano l’informazione; sfogano le frustrazioni dell’opinione pubblica catalizzando l’attenzione sull’Hasbarah-capro espiatorio”.
Per tornare alla diffusa sensazione di “Israele contro tutto e tutti”, il controverso giornalista Gideon Levy scrive “Cosa abbiamo oggi? Un paese che si sta rapidamente e completamente isolando. Ancora una volta lunedì sembrava, e non per la prima volta, che Israele è sempre più in rottura con la nave madre, sta perdendo il contatto con il mondo, che non accetta le sue azioni e non capisce le sue motivazioni”. A prescindere dall’orientamento politico, dunque, è necessario interrogarsi su Israele e la direzione che dovrà prendere: combattere un mondo che sembra non comprendere le sue ragioni o ammorbidire la linea, scegliendo il compromesso.

Daniel Reichel