Evoluzione e teologia, un punto di vista ebraico

Quali problematiche ha posto la teoria dell’evoluzione così come elaborata da Darwin e successivamente sviluppata dalla biologia molecolare alle principali religione monoteiste? Quali sono le implicazioni del suo accoglimento? Come può esser il frutto della creazione divina un mondo fondato sulla necessità ma anche sul caso nella selezione delle specie?.
Questi sono i principali temi affrontati ieri nel convegno “Evoluzione e Religioni” che si è svolto nella biblioteca Casanatense, organizzato dall’Università di Roma Tor Vergata e l’Università di Cassino, che ha visto dibattere epistemologi ed esponenti delle diverse religione monoteiste.
La discussione è stata aperta dal professor Fulvio Ferrario della facoltà valdese di teologia, il quale introducendo le principali problematiche sollevate dalle teorie darwiniane e come queste inferiscono con l’ambito religioso ha indicato delle “piste di riflessione”. Cioè delle questioni irrisolte come quella della nozione di male e sofferenza alla luce della evoluzione. Dopo di lui il professor Carlo Molari della Pontificia Università Urbaniana ha sottolineato quelli che, secondo il suo punto di vista, rappresentano gli ostacoli principali alla recezione della teoria evoluzionista in ambito religioso, fra gli altri l’interpretazione scritturale della Bibbia e la visione del creato fondata sulla centralità dell’uomo.
A rappresentare un possibile punto di vista ebraico, che riesca a coordinare la teoria della evoluzione e le sue implicazioni con la tradizione ebraica così come sviluppata dalla esegesi rabbinica, c’era il rav Gianfranco di Segni, nella doppia veste di biologo molecolare presso il CNR e di rabbino.
Rav Di Segni, dal canto suo, ha ricordato nel suo intervento come una delle prime reazioni alla teoria darwiniana di parte ebraica fu quella del rav Benamozegh, il famoso rabbino e cabalista di Livorno, il quale nel suo commento alla Torah del 1862, appena qualche anno dopo la pubblicazione della “Origine della specie”, cita spesso Darwin, esprimendo stima per le sue teorie e pur non condividendole non vede una intrinseca contraddizione fra queste e la Torah.
Un altro dei contributi per un’analisi dell’evoluzione dal punto di vista ebraico provenne dal rabbino Vittorio Castiglioni, che fu rabbino capo di Roma all’inizio del ‘900, il quale scrisse “Pe’er Adam”. Il rav ha ricordato anche l’opinione di Rabbi Avraham Kook, primo rabbino capo di Israele, che riferendosi alle scoperte scientifiche che contrastano con il senso della Torah notava che “lo scopo della Torah non è di raccontare semplici fatti ma ciò che conta è il significato interiore”, e quindi anche i contrasti con il senso letterale delle frasi non hanno rilievo a fronte del senso nascosto, i cosiddetti “segreti della Torah”. Per quanto riguarda i punti di vista moderni, Rav Di Segni ha innanzi tutto evidenziato lo scetticismo con cui, non solo da parte degli scienziati ebrei credenti, è ancora guardata la teoria dell’evoluzione, perché non completamente rappresentabile con formule matematiche, mentre d’altro canto i biologi credenti sono più pronti a recepirla.
Secondo il rav Gianfranco Di Segni la resistenza ad accettare la teoria darwiniana in ambito ebraico non è così forte perché essa ci fornisce una spiegazione dell’evoluzione che contrasta con il dato letterale della Genesi (se il problema si riducesse a questo, la difficoltà sarebbe superabile con l’interpretazione midrashica o allegorica) bensì perché accettarla comporta introdurre nella vita umana (dal DNA al macrocosmo) le nozioni di caso e contingenza.
L’evoluzione infatti segue vie casuali e contingenti, e portando alle estreme conseguenze questa visione anche la vita umana nel suo sorgere è frutto del caso. E allora come coniugare l’idea di un mondo sorto per caso con una visione religiosa-ebraica?
Una soluzione, riportata dal rav ma non per lui preferita, è quella di pensare a un intervento occasionale di Dio, che rimane oscuro all’uomo, in modo che ciò che appare casuale all’uomo in realtà non lo sarebbe. Il difetto di questa visione è quello di considerare una parte della realtà non spiegabile razionalmente e di ridurre Dio a un ruolo suppletivo, di “tappa-buchi”, per così dire. Altra possibilità, quella scelta dal rav, si basa invece su un famoso midrash basato sul verso “E fu sera e fu mattina, il primo giorno”, che racconta che prima del nostro mondo Dio ne aveva creati altri e li aveva distrutti. Dio ha mantenuto il mondo a lui gradito come in un cosmico “Work in progress”, senza una creazione preordinata ab inizio. In questa visione, Dio sceglie il mondo in cui può manifestarsi all’uomo, un mondo quindi ontologicamente imperfetto e frutto del caso.
Ma come ammettere che Dio nella sua perfezione abbia creato un mondo perfettibile? Chi può porre la perfezione su un gradino di valore più alto dell’imperfezione? “Perché la ruota giri, perché la vita viva, ci vogliono le impurezze”, a parlare così era Primo Levi nel “Sistema Periodico”, che partendo dallo zinco affronta un problema di carattere più generale che riguarda la vita, il mondo e anche gli ebrei sotto il fascismo.

Daniele Ascarelli