I motivi del rancore

Il rancore anti-israeliano esploso negli ultimi giorni non è solo astio, livore, risentimento. È molto di più. Il blitz fatale alla nave dei cosiddetti pacifisti ha fatto riemergere in Europa la questione dell’esistenza dello Stato di Israele. Una esistenza sopportata o addirittura mal tollerata, una spina nel fianco del Vecchio continente, sgradevole ripercussione dei suoi crimini recenti. Perché a che cosa potrebbero altrimenti appellarsi gli ebrei per un “ritorno” su quella terra?.
Così, mentre Annette Groth, rappresentante della sinistra in Germania, dopo aver preso parte alla flottiglia, dichiara in un’intervista a “Haaretz” del 4 giugno di considerare un “proprio dovere chiedere a Israele di non violare più i diritti umani delle altre nazioni”, nello stesso giorno il quotidiano tedesco “Süddeutsche Zeitung”, di tendenze moderate e filogovernative, pubblica l’articolo “Gli avi dalla Giudea” dedicato alla nuove analisi genetiche sulla discendenza degli ebrei. Il sottotitolo recita: “Il mito della fondazione di Israele viene confermato in laboratorio”. Il riferimento è al risultato delle ricerche compiute dall’equipe di Harry Ostrer della New York University School of Medicine, secondo cui ebrei provenienti da ambiti geograficamente molto diversi mostrerebbero tratti genetici comuni.
Dal “genoma” – insinua malignamente il giornalista tedesco Christian Weber – si potrebbe insomma leggere la storia. Sui rischi gravissimi di ridurre a un DNA biochimico l’identità del popolo ebraico, identità che si dispiega nella storia, occorrerebbe riflettere. Lo dovrebbe fare soprattutto chi esalta acriticamente la biologia e le neuroscienze – e dimentica la cultura e la storia. Ma l’articolo ha una mira precisa: dalla supposta “discendenza comune” gli ebrei deriverebbero “il diritto a fondare lo Stato di Israele nell’ambito di quel che fu la Terra Santa”. Nella sua ripugnanza il messaggio è chiaro: gli ebrei tentano un po’ ovunque, perfino nella genetica, territorio – è bene ricordarlo – dominato dagli scienziati tedeschi (con una continuità che va dal Max Planck Institut ad Auschwitz e oltre), di legittimare un diritto che non hanno, di difendere una appropriazione indebita, di giustificare l’ingiustificabile: l’esistenza di Israele.
Dato che la questione che investe lo Stato di Israele (e si ripercuote sul popolo ebraico nella Diaspora) non è solo e non è tanto politica, ma è ontologica, perché ogni pretesto solleva la domanda sulla legittimità della sua esistenza, a Israele è richiesta una vigilanza più elevata. E più elevata non vuol dire solo più intensa. Vuol dire una vigilanza capace di sollevare lo sguardo oltre l’oggi immediato, a cui si ferma la politica degli stati-nazione, al fine di perseguire con consapevolezza il progetto per il domani.

Donatella Di Cesare, filosofa