Il ruolo degli ebrei
Dopo la Shoah, in seguito al dibattito infinito prodotto dalla creazione dello Stato d’Israele nel 1948 e da tutto ciò che ne è conseguito, l’ebreo, soprattutto nella diaspora, ha trovato assai difficile definire il proprio ruolo nel mondo. Il suo ruolo è stato rimesso in discussione dalla società e dalla storia. Il suo spirito cosmopolita è stato contestato e l’ebreo si è spesso sentito tirare per la giacca da chi, diffidando della sua fedeltà di suddito di una sola nazione, gli chiedeva reiteratamente di prendere posizione, di giustificarsi. Di giustificare la sua caparbia memoria antica, da un lato, e la divisione dei suoi affetti presenti, dall’altro. In questa crisi di identità, una parte non minore l’hanno sempre giocata i mille diversi modi in cui l’ebreo sceglie di vivere il suo ebraismo. Un popolo che appare all’esterno compatto e unito vive la propria identità nel più variegato e frammentato dei modi, religioso o laico, sionista o antisionista, religioso-sionista, religioso ma non sionista, sionista ma non religioso, e così di seguito, in una serie infinita di variabili.
A questo punto, sospettare che l’ebreo abbia tutto il diritto di chiedersi: chi sono e che cosa significa essere ebreo? non sembra uno scandalo, e non dovrebbe sorprendere nessuno. Ma l’ebreo è dotato di tanto spirito critico da ritrovarsi spesso in disaccordo anche con se stesso, soprattutto sulla definizione da dare al suo essere ebreo. Per sfuggire alla crisi, a cui peraltro dovrebbe essere da tempo abituato, non resta all’ebreo che porsi non tanto il problema dell’identità quanto quello del suo scopo nella vita e del suo ruolo nella società moderna.
La risposta alla domanda o, nella migliore tradizione ebraica, una vasta scelta di risposte, la possiamo trovare in un recente servizio della rivista americana Moment, che pone la domanda a 70 personaggi di spicco dell’ebraismo americano.
Come l’irriverente regista e attore Mel Brooks, all’anagrafe Melvin Kaminsky, che racconta di come dovette cambiare il suo nome per non essere discriminato dall’establishment culturale dell’epoca. Il mestiere del comico, secondo il regista, è connaturato al destino degli ebrei: “Forse perché gli ebrei – dice Brooks – hanno sofferto e pianto per così tanto tempo che è per loro giunto il tempo di ridere”. Detto questo, Brooks snocciola una delle sue prime battute, ideata quando ancora era un artista in erba, non proprio una delle migliori ammette: ”You can’t keep Jews in jail, they eat lox.” “Non puoi tenere gli ebrei in gabbia, perché mangiano salmone” (con un gioco di parole tra “lox”, filetto di salmone e “locks”, serrature).
Cosa possano offrire gli ebrei al mondo? A detta di Brooks, in primis ciò che è stato tramandato da Mosè e da Maimonide: “Possiamo offrire un vasta gamma di leggi che regolano il comportamento umano. Siamo stati il primo popolo a creare quella cosa definita legge, a distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato secondo i principi della Torah. Se poi volessero qualcosa di più gustoso, possiamo comunque offrire dell’ottima matzo brei (pane azzimo fritto insieme a uova)”.
L’ebraismo può avere inoltre un ruolo fondamentale nella promozione e nella difesa dei diritti umani, come spiega Elie Wiesel, scrittore, premio Nobel per la pace nel 1986 e cofondatore di Moment magazine.
Per Wiesel gli ebrei devono aiutare il mondo a comprendere che quando a una comunità di persone vengono negati i diritti, ne rimaniamo colpiti tutti: “Come ebrei dobbiamo prestare soccorso a coloro che ne hanno bisogno, ovunque essi siano. Dobbiamo comprendere le loro necessità, le loro paure, le loro gioie, e attraverso queste trovare noi stessi. Questa è una missione essenziale per noi ebrei, perché è quello che facciamo da quando siamo diventati un popolo. Sì, Dio ha donato la Torah agli ebrei, ma in un certo senso essa è un dono per tutti.”
Il Rabbino Shmuley Boteach, autore del libro di successo Kosher sex, è decisamente più pragmatico: “Il nostro errore più grande è credere che l’ebraismo sia solo per gli ebrei. Mentre il cristianesimo e l’Islam si concentrano sulle questioni macrocosmiche: dove andrò quando morirò? com’è il paradiso? come posso essere salvato?, l’ebraismo si concentra sulle questioni microcosmiche: come posso imparare a non fare maldicenza? come posso creare una famiglia stabile ed evitare il divorzio? Noi ebrei siamo riusciti a definire alcune problematiche con cui la società moderna non è ancora riuscita a confrontarsi. Come creare un matrimonio appassionato. Come crescere e ispirare i figli. Dovremmo condividere ciò che abbiamo imparato con il resto del mondo.”
Anche riguardo alle riflessioni etiche, Michael Broyde, rabbino e professore di legge alla Emory University, ritiene che gli ebrei possano fare molto: “Nella tradizione ebraica non si parla mai di bianco e nero, piuttosto di infinite sfumature di grigio, qualcosa può essere permesso, ma poco consigliato, disapprovato, ma non proibito”. Anche la bioetica è fatta di infinite sfumature e l’ebraismo negli Stati Uniti ha esercitato una forte influenza in questo ambito: “In contrasto con i paletti posti dalla chiesa cattolica – spiega Broyde – tutte le maggiori correnti dell’ebraismo si sono schierate a favore della ricerca sulle cellule staminali utilizzate in campo medico con scopi terapeutici. Come ebrei dobbiamo continuare a offrire al mondo, risposte ragionevoli a problemi, seppur complessi, che investono la sfera etica e che ci coinvolgono tutti”.
Ma come discutere tali problematiche? Per Adam Berger, Amministratore delegato della Spark Networks, compagnia che possiede il celeberrimo sito di incontri Jdate, nel mondo ebraico le scelte vengono sempre fatte in seguito a un serrato confronto: “Le decisioni – afferma Berger –, che siano quelle della Knesset in Israele o di un’organizzazione caritatevole negli Stati Uniti, vengono prese solo dopo un’accesa discussione, ascoltando e valutando tutte i diversi pareri. Se ci fossero state più persone con il coraggio di mettere in discussione ciò che veniva prospettato dalla repubblica di Weimar in Germania, la storia sarebbe stata diversa. Noi offriamo al mondo il modello di una comunità in cui ogni membro ha la possibilità di intervenire in un dibattito e di fornire il proprio contributo alla discussione. Una vera e propria famiglia che non solo tollera le diverse opinioni, ma che ne apprezza le varie sfumature”.
E in definitiva gli ebrei sono questo. Come in una famiglia, si è spesso in disaccordo. Si discute di frequente e si tende a essere ipercritici gli uni verso gli altri. Ma state pur certi che, quando qualcuno al di fuori della famiglia critica ingiustamente un membro o l’intero nucleo familiare, si è sempre pronti a schierarsi in difesa di chi è stato colpito.
Michael Calimani