“Venite a vedere con i vostri occhi”

libro di recente pubblicazione, La Palestina del mandato nell’editoria italiana. 1918-1939, curato da Marilì Cammarata per le Edizioni dell’Università di Trieste, si segnala come uno strumento prezioso per capire le radici lontane del groviglio politico e diplomatico mediorientale, che, già nel tormentato periodo tra le due guerre mondiali, attirava grande attenzione e interesse da parte dell’opinione pubblica italiana, sollevando forti e contrastanti reazioni emotive intorno al ritorno degli ebrei nella Terra Promessa, al problema dei rapporti tra ebrei e arabi, al ruolo del Regno Unito e alla posizione assunta, nei confronti del mandato britannico, dall’Italia liberale e poi fascista. Già allora, le vicende di quel lembo di terra, ancora alquanto desolato e scarsamente popolato, erano seguite nel nostro Paese con una curiosità e partecipazione senza pari, condivise tanto da chi mostrava di apprezzare l’impegno sionista, quanto dai molti che l’osteggiavano, spesso esternando senza alcun pudore sentimenti di violento antisemitismo (ma anche il disprezzo per gli arabi, a dire il vero, appariva ben rappresentato, così come l’antipatia per gli inglesi, alimentata dalla malcelata invidia di Mussolini, che avrebbe voluto per sé il mandato sulla “mistica terra”).
Tra le molte pubblicazioni esposte e commentate dalla Cammarata, particolarmente interessante appare un piccolo opuscolo, firmato dalla Associazione degli scrittori ebrei di Palestina, contenente un ‘manifesto’ indirizzato “agli scrittori e intellettuali di tutto il mondo civile”, pubblicato a Roma, a cura della Federazione Sionista Italiana, probabilmente nel 1929, a seguito della prima grande rivolta araba, che provocò ampie stragi nella popolazione ebraica di Palestina. L’appello, firmato dai 10 componenti del Comitato centrale dell’Associazione, tra cui Chaim Nachman Bialik e Shmuel Agnon, rappresenta una drammatica invocazione di aiuto e di soccorso: “Venite a vedere coi vostri occhi quello che facciamo qua e quello che ci fanno”. La violenza fece sanguinare l’yishùv, il piccolo popolo, falcidiandone le esili fila; ma non ne indebolì minimamente la forza d’animo: “sappiate e sappia il mondo: siamo tornati questa volta nella nostra Terra per rimanerci e per non uscirne. Qui siamo nati, qui spuntò e fiorì il nostro genio nazionale, qui torneremo a vivere come popolo tra gli altri popoli civili”.
“Da come è andata la storia nei 20 anni successivi, – commenta la Cammarata (p. 84) – mi sembra di potere affermare che questo appello agli ‘intellettuali del mondo civile’ non è stato letto da nessuno, tanto meno dagli italiani…”. Ma la voce di Bialik e Agnon, quantunque inascoltata, suona ancora oggi, forte e chiara, e manda un messaggio preciso a tutta la chiassosa e variopinta armata dei nemici di Israele: se il vostro obbiettivo è quello di colpire gli ebrei, potete realizzarlo; se è quello di aizzare contro di loro l’opinione pubblica mondiale, anche questo è, evidentemente, possibile; e anche l’obbiettivo ultimo della cancellazione definitiva di Israele, quantunque più difficile e costoso, non si può dire che sia oggettivamente irrealizzabile. Ma se – come rivelato, da ultimo, dall’arringa ai militanti della Marmara, pronunciata dal leader turco Bulent Yilidrim, prima dell’impatto con la marina israeliana al largo di Gaza, ripreso da un video sequestrato e reso pubblico dal Ministero degli Esteri – il vostro scopo è quello di spaventare e piegare il popolo d’Israele, inducendolo a lasciare la sua terra, lasciate perdere.

Francesco Lucrezi, storico