Quali rabbini, quale futuro – “Senza fiducia che parliamo a fare?”

E’ singolare questa situazione per cui a polemizzare con rav Di Segni infine tocchi sempre a me. Lo faccio volentieri con tutto il rispetto che porto al mio Rav e con tutta la libertà che come componente della Keillà sento di avere.
Parliamo allora del Bet Din unico, sono tra i sostenitori della proposta, anche se l’ho articolata non come una “cosa unica”, che ha sede a Roma nell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Quel Bet Din c’è già, non l’ho inventato io, ma due illustri nostri Maestri: Angelo Sacerdoti e David Prato, più di ottanta anni fa. Mi riferisco alla Consulta rabbinica, già prevista nella Legge del ’30 e poi confermata dallo Statuto dell’ebraismo italiano, essa è composta da tre rabbini maggiori eletti dal Congresso ogni quattro anni. Tre rabbini, già formano un Bet Din, se poi a questo istituto lo Statuto demanda compiti di giudizio, tanto da equipararlo in taluni casi, al Collegio dei probiviri, come vogliamo definire questo consesso? Ma in realtà non è di questo Bet Din, che è di un genere particolare, che stiamo trattando.
Quanti Batè Din esistono oggi in Italia? Due, tre? La proposta è che ne esista uno solo, articolato in sezioni; che le sezioni possano essere locali, quindi in sede fissa, o formate di volta in volta, come accade nei tribunali superiori, a seconda della competenza. Su questo non ho idee precise, discutiamone.
Sul fatto però che in taluni casi, anche di ghiurim, certe linee di tendenza possano essere decise, come avviene per esempio alla Corte di Cassazione “a Sezioni Unite”, mi sembra opportuno, e una garanzia per tutti, giudicanti e giudicati.
Lascio ai Rabbanim decidere se nelle conversioni bisognerebbe utilizzare un criterio unico, quello che vedo è che questo criterio unico non c’è. E’ un bene, è un male? Non lo so. E francamente non mi interessa, perché personalmente non mi appassiono ai ghiurim, persuaso come sono che questi vanno fatti seguendo l’Halachà. Tuttavia, lo sappiamo l’Halachà come ogni legge è soggetta a interpretazione, interpretazione che risente dello spazio e del tempo. L’importante per me è che l’interprete sia idoneo ovvero sia un rabbino.
Rav Di Segni ricorda che nel Regno Unito ci sono vari Tribunali rabbinici: Haredim, Sefardim, della Federation, per non parlare degli USA. Bene, è questo che auspica il mio rav? Che presto ci sia a Roma un Bet Din Lubavic e un Bet Din della Federation?
Personalmente preferirei che i Batè Din italiani collaborassero in unica struttura, come rav Di Segni ricorda che avviene in Francia, dove i Tribunali rabbinici sono tra loro collegati nel Concistoire.
Ciò che più mi ha spinto ad intervenire è la considerazione finale di rav Di Segni: “Non si potrebbe essere più sinceri e chiedere semplicemente e direttamente quello che si vuole in realtà (procedure facili e una corte controllabile)?”
Trovo questa domanda scoraggiante. Perché caro rav, non dovrei essere sincero con Lei e con tutti gli altri ebrei quando penso a un Bet Din italiano articolato per sezioni, al solo fine di avere decisioni coerenti, se è possibile, per tutte le nostre Keillot? E sopratutto perché non dovrebbe esserci un unica autorità che rilasci certificati di Kasherut per i molti prodotti alimentari fabbricati in Italia ed esportati in tutto il mondo?
Potrei sostenere che la Consulta Rabbinica è già un Bet Din a tutto tondo, e se pensassi veramente di influenzarla, forse, in astratto, sarebbe anche possibile visto che i tre componenti sono anche componenti del Consiglio dell’Ucei eletti, ma non penso a un Bet Din eletto, tutt’altro.
Le Corti sono autorevoli e non controllabili se i loro componenti sono autorevoli e non influenzabili, ed è questo il Bet Din a cui penso, un Bet Din fatto da Rabbanim autorevoli, e che credano per primi loro stessi nella loro autorevolezza.
In definitiva se vogliamo veramente riorganizzare la Governance delle nostre istituzioni dobbiamo uscire dalla cultura del sospetto, perché se non c’è fiducia tra noi, che parliamo a fare?

Anselmo Calò, Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane