Daniela Di Castro (1958-2010)
Esponenti del mondo della cultura e della politica, autorità, leader ebraici italiani, molti appartenenti alla Comunità romana e numerosi comuni cittadini porgono in queste ore l’estremo, commosso saluto a Daniela Di Castro, insigne studiosa di storia e di arte e direttrice del Museo ebraico di Roma. Nei prossimi giorni sarà necessaria una valutazione sul valore del lavoro compiuto da Daniela (i lettori che lo desiderano possono inviare una propria testimonianza a questo indirizzo: info@ucei.it). Unendosi al dolore dei suoi cari e di tanti amici, la redazione del Portale dell’ebraismo italiano, del notiziario quotidiano l’Unione informa e del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche (cui Daniela non ha mai fatto mancare il proprio consiglio prezioso) si inchina di fronte alla figura di una studiosa che ha fatto crescere e non ha sminuito, ha onorato e non ha preteso onori, ha donato e non ha domandato, ha unito e non ha diviso. Ha amato la propria identità e la propria città.
Ma al di là degli omaggi formali, leggere la sua ultima intervista, rilasciata a Pagine Ebraiche solo poche settimane fa, consente con l’aiuto delle sue parole e del patrimonio delle sue idee e delle sue esperienze di guardare ai valori che gli ebrei italiani hanno il dovere di tutelare, misurare la strada compiuta in questi ultimi anni e le sfide che è necessario raccogliere. Il vuoto che lascia è incolmabile, ma la sua lezione resta indimenticabile. Che il suo ricordo sia di benedizione agli ebrei di Roma e alla loro cultura plurimillenaria e di sostegno alla minoranza ebraica in Italia.
Gli argenti danzano come farfalle
Daniela Di CastroLa prima reazione è di sorpresa. Chi varca la soglia del Museo ebraico di Roma di solito rimane per un attimo senza fiato. Difficile infatti immaginare dall’esterno quello scenario fitto di vita, luci e colori, soprattutto se si arriva qui controvoglia: solo perché si tratta di una tappa obbligata per poter visitare la spettacolare Sinagoga affacciata sul Tevere. Ma basta poco e anche il visitatore più riottoso si lascia conquistare dalla grande bellezza degli oggetti in mostra e da un’idea nuova di museo. “Il fattore sorpresa è la nostra forza”, sorride il direttore Daniela Di Castro (nell’immagine assieme al suo staff). “Le persone si aspettano di solito uno spazio vecchiotto, con qualche ritaglio e una manciata di foto d’epoca. Ma una volta qui lo riconoscono come un grande museo ebraico, un grande museo romano e un grande museo di arti decorative”.
Cinquantun anni, Daniela Di Castro è alla guida del Museo dal 2005, anno in cui la struttura è stata riallestita conquistando un ruolo tutto nuovo. Già docente di Storia delle arti decorative e industriali all’università La Sapienza di Roma e di Storia dell’arte ebraica al Collegio rabbinico romano, autrice di numerosi studi e curatrice di mostre di successo ha un curriculum di tutto rispetto che annovera numerose collaborazioni con le Soprintendenze, con Claudio Strinati a Roma e Nicola Spinosa a Napoli, oltre che esperienze all’estero tra cui al Victoria and Albert Museum di Londra. Con questo bagaglio culturale ha accompagnato la complessa gestazione della nuova realtà e oggi, con entusiasmo e professionalità, continua ad impegnarsi per un dialogo sempre più serrato con il suo pubblico. Senza disdegnare a questo scopo formule quali le lezioni di restauro per i piccolissimi o le cacce al tesoro nei panni di Indiana Jews. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, tanto che un anno fa le è stato conferito il titolo onorifico di Ambasciatore di Roma nel mondo. Il Museo della Capitale conta infatti oltre 74 mila visitatori l’anno che ne fanno la struttura più frequentata del panorama ebraico italiano. Ma soprattutto, ci tiene a sottolineare il direttore, la Comunità ebraica romana si è riappropriata del suo Museo. Lo riconosce come parte centrale della sua storia, si identifica con i suoi oggetti e lo frequenta con grande affetto.
Daniela Di Castro, come nasce il nuovo corso del Museo ebraico di Roma?
Con il riallestimento. Cinque anni fa abbiamo traslocato dal piano superiore al seminterrato dove ci troviamo ora, passando da 160 a 700 metri quadri. All’inizio ci siamo limitati a portare giù le vecchie vetrine e a qualche lavoro assolutamente necessario. Poi, grazie ai contributi della Regione Lazio, della Provincia di Roma e di alcuni privati siamo riusciti a rinnovare l’esposizione mentre il sostegno del Comune di Roma ci ha consentito di realizzare la galleria dei marmi che all’ingresso propone una serie di frammenti di antiche lapidi prima situate all’aperto. Siamo inoltre riusciti a mettere in atto una serie di misure tecniche, tra cui le luci a led o il controllo climatico e dell’umidità, a protezione delle nostre collezioni.
Per quanto bella una sede non basta però da sola a richiamare il grande pubblico.
Un museo deve custodire e trasmettere alle generazioni successive il patrimonio di cui dispone. Al tempo stesso la sfida è quella di lavorare all’interpretazione delle collezioni così da tradurle in esperienze culturali, intellettuali, estetiche o formative per un pubblico più ampio possibile. Gli oggetti da soli non parlano.
Lo dimostra il fatto che quelli in mostra sono gli stessi di cinque anni fa, quando il Museo aveva un numero diverso di visite.
Infatti. Nel riallestimento abbiano cercato di capire, oggetto per oggetto, di che cosa si trattava: chi l’aveva fatto, come, quando e con che tecniche. Abbiamo ripercorso così tutta la catalogazione e, sulla base di queste informazioni, nella mostra abbiamo arricchito le spiegazioni con rimandi ai significati più ampi, così da renderla fruibile a un maggior numero di persone.
E la chiave per interpretare la collezione?
Il Museo ebraico di Roma possiede pezzi magnifici, unici al mondo. Penso ad esempio alle 12 coppie di rimonim del Seicento o alla nostra guardaroba composta di 900 tessuti. Per gli ebrei di Roma sono pezzi di straordinaria importanza perché dopo il rogo del Talmud ordinato dal Papa nel 1553 del Papa la Comunità, prima molto colta, ha potuto tramandare il suo ebraismo solo attraverso il fasto e il rito. Si spiega così la ricchezza di tanti oggetti, inaudita per altri centri italiani. Abbiamo dunque scelto il fasto, uno dei nostri collanti, uno dei modi in cui siamo sopravvissuti, per caratterizzare il Museo. Per questo non abbiamo ad esempio selezionato i tanti oggetti di maggior pregio, ma li abbiamo esposti in modo che dialogassero l’uno con l’altro.
Gli ebrei romani hanno apprezzato?
Molto. Nel nuovo allestimento abbiamo cercato di sottolineare il valore famigliare delle opere e lo facciamo anche nei laboratori. E’ stato un grande successo e uno dei risultati migliori che abbiamo ottenuto. Gli ebrei romani si sono reidentificati in questi oggetti e spesso li vediamo portare qui i figli e i nipoti ad ammirarli. In un certo senso il fasto continua ad essere un motivo d’identità: ancora oggi, ad esempio, quando a Roma si va alla Sinagoga per le feste ci si aspetta di vedere quel rimon o quel meil antico consegnato per l’occasione dal Museo.
Le collezioni così continuano a vivere.
L’obiettivo è proprio questo. Ogni anno a Simchat Torah consegniamo ad esempio alle sinagoghe molti oggetti tra cui due coppie di rimonim settecenteschi. Rimangono nell’Aron perché non si può metterli a repentaglio scuotendoli nei giri della Torah. Ogni volta sono terrorizzata che possa accadere qualcosa. Ma come dice Leo Pavlat, direttore dello storico Museo ebraico di Praga dove i nazisti convogliarono una gran mole di oggetti per creare il museo della razza estinta, i miei rimonim sono farfalle che danzano su un prato: i suoi farfalle infilzate al muro da uno spillone.
Progetti per il futuro del Museo?
In questo momento siamo impegnati, grazie a un finanziamento regionale, nell’adeguamento del materiale didattico. Al tempo stesso abbiamo iniziato a lavorare per valorizzare l’edificio in cui ci troviamo.
Un edificio notissimo anche all’estero.
Noto ma poco conosciuto. Stiamo dunque predisponendo dei pannelli esterni e cercando di rendere più attrattivo il giardino delle piante bibliche. Il sogno è di riuscire ad attrezzarlo. Intanto abbiamo ricevuto in dono dal gallerista Ermanno Tedeschi, che da tempo collabora con noi anche come Presidente della Fondazione Elio Toaff per la cultura ebraica a Roma, una bella scultura di David Gerstein che potrebbe trovare posto proprio lì.
La prossima mostra in cantiere?
Il 4 maggio inaugureremo una grande mostra dedicata a rav Elio Toaff in onore dei suoi 95 anni. La Comunità ebraica romana ha aderito con vero entusiasmo alla raccolta dei materiali che illustreranno il percorso di questo protagonista d’eccezione della nostra storia che è riuscito a raccogliere una Comunità a pezzi dopo la guerra riportandola a nuova vita.
Daniele Gross, Pagine Ebraiche, aprile 2010