Quali rabbini, quale futuro – Un Beth Din autonomo e autorevole
Mi sembra che la discussione che si è aperta sia interessante pur nelle sue asprezze e forse grazie alle sue asprezze. La proposta di istituire un Beth Din unico in Italia credo che vada esaminata con attenzione. Personalmente credo che possa essere una buona idea, anche se è ovviamente vero ciò che dice rav Di Segni, cioè non è questa la situazione generale dei Batè Din in Europa e nel mondo. Credo però che l’Italia, viste anche le dimensioni molto ridotte delle comunità possa giovarsi di una situazione di questo tipo. Questo però a patto di rendere tale Beth Din assolutamente autonomo rispetto alle comunità e autorevole, a patto che sia mobile e che abbia uno stretto collegamento con i Rabbinati locali. Quello dell’autonomia è un tema assolutamente essenziale, dovrebbe essere una preoccupazione non solo dei rabbini, dovremmo pensare seriamente a quali soluzioni adottare per garantire questa autonomia.
Tra le altre cose è inaccettabile un Beth Din dedicato esclusivamente alle conversioni, la cui efficienza verrebbe misurata dal numero di conversioni fatte.
Sono d’accordo con rav Riccardo Di Segni su vari punti. E’ in corso un’offensiva sul tema delle conversioni estremamente pericolosa che mette in discussione l’autonomia del rabbino e dei Batè Din. Faccio un solo esempio: è considerato normale anche da chi sostiene l’assoluta autonomia del Rabbinato fare pressioni sul rabbino in tema di conversioni soprattutto di conversioni di minori o di ragazzi in età di Bar Mitzvà. Pensate se lo stesso tipo di pressioni si operassero sui giudici di un tribunale cosa diremmo sulla violata autonomia del giudizio.
Ritengo inoltre profondamente sbagliato considerare le conversioni come la soluzione di un problema comunitario, la conversione è un profondo percorso personale di avvicinamento all’ebraismo e al popolo ebraico, non può e non deve diventare una sanatoria.
Si chiede un percorso chiaro di conversione. Sembra una richiesta assolutamente ragionevole. In realtà la questione è molto più complessa di quanto appaia. Il percorso di conversione presuppone un rapporto molto stretto fra il candidato e il Beth Din. Il Beth Din deve accertare che questa persona sia sinceramente convinta di ciò che sta chiedendo e che non si tratti di un entusiasmo momentaneo e deve accertare che possa avvenire la cosiddetta kabbalàt mitzvòt, cioè l’accettazione delle mitzvòt. Questa deve riguardare sia il presente sia il futuro. Al Beth Din viene chiesto cioè di dare un giudizio sul futuro di questa persona. Un giudizio che come si può immaginare è molto difficile dare: si può sicuramente presentare, rendere pubblico un programma di studio per la preparazione al ghiur ma questo è solo una piccola parte di questa preparazione. Tutto il resto non è programmabile e può e deve variare da persona a persona.
rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano