Aldo Terracina (1922 – 2010)

Chi scrive queste poche righe in omaggio ad Aldo Terracina non può che iniziare rifacendosi a ricordi personali che saranno forse di poco conto per altri ma che hanno un’enorme importanza per chi ha vissuto determinate esperienze.
Non è certo un segreto che sono arrivato a Roma una trentina di anni fa, venendo da una comunità grande e a quei tempi assai numerosa nella quale non solo io, ma la mia famiglia tutta era molto ben inserita. Era fine anno. Entrare quindi a Chanukkà nel Tempio Maggiore, assistere all’accensione dei lumi e ripartirne, a funzione terminata, senza che nessuno mi rivolgesse una parola era stato un trauma.
Una volta inseritomi nella struttura universitaria che per prima mi accolse, affermata la mia posizione nel mondo accademico, cercai di penetrare in quel mondo ebraico a cui mi sentivo di appartenere. Molte cose non mi erano tutte chiare. Ricordo, ad esempio, che quando chiesi di essere iscritto alla Comunità di Roma, specificando che intendevo essere considerato come facente parte del Tempio Spagnolo, ci fu qualcuno che manifestò stupore: ignoravo certe forme di snobismo…
Non fu dunque una cosa facile questo inserimento e fu certamente grazie a una persona tranquilla, mite, gentile e calma, che fui infine accettato. La persona che mi aprì la strada, la sua casa e le case dei suoi amici è certamente stato Aldo Terracina.
In un secondo tempo, ancora quando era presidente della Comunità Sergio Tagliacozzo z.l., mi trovai a essere con Aldo nello stesso Consiglio. Successivamente fu lui a essere il presidente e non posso ricordare di lui che la pazienza con la quale affrontava l’irruenza di alcuni consiglieri al momento della discussione sul varo dell’Intesa con lo Stato, quando c’era chi riteneva che sarebbe stato un errore tragico allontanarsi dalla Legge Falco degli anni Trenta.
In quella parte della vita di Aldo che ho potuto seguire, cioè appunto quella degli ultimi trenta anni non posso che confermare che la sua dedizione a quel coacervo di cose che sono la vita ebraica era totale. Non era molto addentro al fatto religioso in sé, era però visceralmente legato a tutti i problemi che coinvolgono la vita e le istituzioni comunitarie.
La sua dedizione alla ristrutturazione dei locali del «Pitigliani», che ha seguito in tutte le sue fasi senza risparmiarsi nessuna fatica nonostante lo stato avanzato della sua malattia, come mi ricordava recentemente il presidente dell’Istituto, Ugo Limentani, ne è un fulgido esempio.
Ma Aldo si dedicò anche ad altre iniziative, mettendo disinteressatamente al servizio delle istituzioni le sue conoscenze di ingegnere, il suo squisito buon gusto in fatto di architettura.
Lavori fatti al Centro bibliografico dell’Unione delle Comunità ebbero inizio sotto la sua egida; la sistemazione degli esterni della Casa di Riposo Ebraica in via Portuense fu fatta seguendo le sue idee.
In tutto ciò non si volle mai mettere in luce, fuggì sempre, con ammirevole modestia, qualsiasi occasione di apparire in pubblico, convinto del fatto che aver servito la collettività non deve essere un palcoscenico e ancor meno una via di accesso a cariche e onori.
Una vita vissuta, dunque, nel silenzio e nella tranquillità; un insegnamento per noi che dovremmo saperne apprezzare tutte le sfaccettature.
Sia il suo ricordo, dunque, in benedizione…

Giacomo Saban, direttore della Rassegna Mensile di Israel

(Nell’immagine, Aldo Terracina e Giacomo Saban all’ingresso del Tempio maggiore di Roma)