Israele-Onu, sgretolare l’isolamento
Nonostante le pesanti difficoltà del momento attuale, va segnalato con soddisfazione un certo miglioramento registratosi, negli ultimi tempi, sul piano della partecipazione di Israele ai lavori delle Nazioni Unite, a seguito del suo inserimento nel gruppo dei Paesi dell’Europa Occidentale, USA, Canada, Australia e Nuova Zelanda, che – come spiegato, su Pagine Ebraiche di giugno, da Sergio Della Pergola – permette allo Stato ebraico di concorrere alla distribuzione delle varie cariche in seno all’organizzazione, superando in parte il suo storico isolamento.
Riguardo alla politica sistematicamente discriminatoria nei confronti di Israele esercitata dall’assemblea generale, un importante elemento di riflessione è fornito, sull’ultimo numero (47, Spring 2010) di Justice (la rivista della International Association of Jewish Lawyers and Jurists) da Richard Schifter, diplomatico statunitense che ha a lungo rappresentato il suo Paese all’ONU, avendo modo di conoscere dal di dentro i complicati meccanismi dell’istituzione. Le ricorrenti maggioranze anti-israeliane che si formano nell’assemblea generale, nota Schifter, riuniscono non solo Paesi arabi e musulmani – sui quali agisce, ovviamente, il riflesso condizionato antisionista – e Stati ideologicamente contrapposti agli USA (come Cuba, Venezuela, Corea de nord e altri Paesi radicali), ma anche una nutrita serie di Paesi in via di sviluppo (Benin, Ghana, Mali, Mongolia, Namibia ecc.), non caratterizzati da atteggiamenti pregiudizialmente antisionisti o antioccidentali, e anzi, in molti casi, debitori, nei confronti degli Stati Uniti, di sostanziosi aiuti finanziari. Come si spiega ciò? E’ così vasto il pregiudizio antisionista, o antisemita, o c’è dell’altro?
C’è dell’altro, e Schifter lo spiega, suggerendo anche dei possibili rimedi. Se, infatti, per i Paesi di maggiore peso politico, le posizioni da assumere nel contesto ONU provengono direttamente, per lo più, da decisioni politiche assunte, ad alto livello, in ambito governativo, molto spesso ciò non accade per i piccoli Paesi, che lasciano ai loro rappresentanti piena discrezionalità di voto su tutte le questioni (come quelle Medio-orientali) che non coinvolgono direttamente i loro interessi. E, in tale mancanza di direttive, la corruzione trova ampio spazio, e i voti dei diplomatici vengono sistematicamente comprati, anche a poco prezzo, da alcuni Paesi radicali (come, p. es., Libia e Cuba), che hanno interesse a tenere in piedi e alimentare l’atteggiamento anti-americano e anti-israeliano dell’assemblea. Tale situazione, nota Schifter, non è irreversibile, in quanto un possibile rimedio, da parte delle potenze democratiche, sarebbe quello di contattare direttamente i governi dei piccoli Paesi neutrali, facendo loro presente l’utilità e la convenienza di un atteggiamento più equilibrato e responsabile, e sollecitandoli a ‘controllare’ meglio il comportamento dei loro rappresentanti. Gli Stati Uniti, ricorda Schifter, hanno già cominciato a farlo, con l’amministrazione Bush, riscuotendo anche dei significatici successi, ma sarebbe molto importante se anche l’Europa cominciasse a muoversi in tale direzione.
Francesco Lucrezi, storico