La missione di Miriam

Stiamo arrivando alla fine del libro Bemidbar: è giunto il momento della separazione dalle guide del popolo che tanto avevano fatto: Moshé, Aharon e Miriam: E lì morì Miriam e lì venne sepolta. E non vi era acqua per la congrega… (Bemidbar, 20:1-2).
Un posto speciale ha Miriam, la sorella di Moshé Rabbenu. Siamo alla fine dei quarant’anni di peregrinazione nel deserto, nel primo mese (Rashbam in loco); ci troviamo a Kadesh, nel deserto di Zin (Abarbanel); Miriam se ne va solo dopo aver compiuto la sua missione di preparazione della nuova generazione, quella che dovrà conquistare Erez Israel.
Il periodo del deserto è stato un periodo particolarmente complicato, pieno di inciampi; ma il Midrash rabbà ci racconta che le donne non parteciparono a nessuna rivolta o lamentela della generazione del deserto; esse serbarono nel loro cuore il vivo ricordo della schiavitù egiziana e dell’uscita dall’Egitto e raccontavano i loro racconti ai nipoti e pronipoti (cfr. Hirsh); quella di Miriam, delle mamme e delle nonne era una fonte continua, fonte di acqua viva ma anche fonte spirituale: non a caso secondo i Maestri il pozzo di Miriam prende origine dal Chorev (Ramban). Non verrà mai sottolineata abbastanza l’importanza del lavoro capillare svolto dalle nostre mamme, dalle nostre nonne: senza mettersi in mostra, con modestia: sono le vere custodi di quello che abbiamo di più sacro, la famiglia e con essa la Torat habait. Finché ci sono non ti accorgi della loro opera, tutto sembra così naturale, ma appena morì Miriam non vi era più acqua, ed allora ci siamo resi conto di quanto ricevevamo da lei e da loro, ed allora la loro morte ci invita all’espiazione, ad una purificazione interna.

Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università Ebraica di Gerusalemme