Rav Yehuda Amital – Ascoltare il pianto del bimbo
All’età di 85 anni si è spento venerdì 27 tammuz a Jerushalaim il Rav Yehuda Amital, uno dei leader del sionismo religioso. Nato in Transilvania (Romania) nel 1924, iniziò lì gli studi nella Jeshivà di Rabbì Chaim Jehudà Hallevi (da cui apprese il sistema di insegnamento delle Jeshivot lituane); passata la Transilvania all’Ungheria (1940), si trovò, dopo la conquista nazista, in un campo di lavoro, da cui fu liberato nel 1944 dall’armata russa, riuscendo a raggiungere Erez Israel alla fine dell’anno. Qui studiò alla Jeshivà Chevron, ricevette il titolo di Rav dal Rav Melzer, studiò con il Rav Charlap, allievo del Rav Kook, e fece parte dell’Haganà.
Il giorno dopo la proclamazione dello Stato si arruolò nell’esercito, combattendo la guerra d’Indipendenza, a Latrun ed in Galilea: “La via del soldato datì durante la guerra d’Indipendenza” sarà uno dei suoi articoli.
L’esperienza terribile della Shoah, l’insegnamento del Rav Kook e la nascita dello Stato di Israele furono i pilastri dell’insegnamento di Torà, di morale, di visione del Rav. Dopo la guerra dei Sei giorni fu chiamato ad essere il capo della nuova Jeshivà nel Gush Ezion, sulla strada fra Jerushalaim e Chevron. Una delle prime iniziative come Rosh Jeshivà fu quella di chiamare accanto a sé, come altro Rosh Jeshivà, il Rav Lichtenshtein, genero del Rav Soloweithchik. Le due personalità si completarono reciprocamente, sempre in perfetta armonia, e fecero della Jeshivà di Har Etzion un esempio di studio di Torà, di morale (ebraica ed umana naturale) e di apertura intellettuale (chi scrive ha avuto la ventura di avere suo figlio maggiore e suo genero fra gli allievi del Rav, che ha anche celebrato le loro nozze). Il Rav Amital fu fra i fondatori delle Jeshivot Esder, in cui lo studio di Torà è accompagnato dal servizio militare, vedendo i suoi allievi sempre in prima fila a difesa dello Stato.
Dopo l’uccisione del capo del governo Yitzchak Rabin, mentre per la strada vi era un clima infuocato, Shimon Peres ebbe la saggezza di chiamare il Rav Amital a far parte del suo governo come Ministro, come a sottolineare l’importanza che attribuiva agli studiosi di Torà che sapevano tradurla in pratica con moderazione e comprensione per le posizioni degli altri.
Famose le sue conversazioni, sempre a sfondo molto umano, come a sottolineare la sua continua ricerca dell’uomo dopo la Shoah, costantemente nel suo pensiero; fra queste ha un posto particolare quella sul pianto del bimbo, famosa nell’ambiente chassidico: capitò al vecchio Admor, l’autore del Tania, che mentre era seduto a studiare sentì improvvisamente il pianto di un bimbo e, dato che non smetteva, chiuse la ghemarà ed andò a vedere nel piano superiore, ove trovò il suo nipotino in lacrime. Dopo averlo calmato si diresse nella stanza accanto ove trovò suo figlio (il padre del bambino) tutto assorto nello studio; dopo essersi avvicinato gli disse: se una persona studia e non sente il pianto di un bambino, vi è qualcosa di molto problematico nel suo studio… Il racconto ci vuole insegnare ad essere in ascolto per accorgersi dei problemi e delle necessità del popolo ebraico: lo studio deve essere diretto verso l’esterno e non chiuso in se stesso.
Nella cerimonia del ricevimento di un nuovo Sefer Torà nel Beth Hakeneset di Ghiv’at Mordechai (il quartiere di Gerusalemme ove abitavamo il Rav e io) il Rav si soffermò sulla richiesta che proveniva da più parti: “vogliamo Mashiach subito” ed il Rav ad insegnarci: “non capisco; per cosa volete il Mashiach? Il Rambam ha scritto nelle sue Hilchot Melachim (12:4) che i chachamim ed i profeti hanno tanto desiderato i giorni messianici soltanto “per essere liberi a studiare Torà e la sua saggezza”; è questo che vi manca cari ebrei? Siate sinceri: un po’ di tempo per studiare Torà ogni giorno ognuno di noi potrebbe trovarlo, ed allora fate questo sforzo e mettetevi a studiare Torà, mettevi a studiare Ghemarà e Rambam, adempiendo quello che il Signore si attende da noi”: chiaro invito ad una responsabilità personale, a richiedere a noi stessi quello che possiamo fare: “siamo riusciti a far comprendere ai nostri allievi che è possibile pensare differentemente dal loro Rosh Yeshivà, rispettando al tempo stesso chi ha una concezione differente dalla nostra”.
Cervello e sentimento (“l’intelletto è la principale dote degli uomini e così deve essere anche nel servizio divino; non può essere che serviamo il Signore con tutte le membra e non con l’intelletto”) santificazione del Nome del Signore e silenzio; la sua vita fu una continua ricerca di quello che è il dovere dell’uomo nel suo mondo (Rav Moshé Chaim Luzzatto); ci fece capire di essere stato pronto a morire per la Santificazione del nome (al kiddush Hashem) ma di essere stato contento di aver avuto la possibilità di vivere la sua vita al servizio divino e del popolo ebraico, divenendo maestro di migliaia di allievi. Eccelse sia nel campo della Halachà, che in quello del pensiero e della chassidut; fu conservatore ed aperto al tempo stesso, portando nella sua Jeshivà la serietà delle Jeshivot lituane. Non nascose i suoi problemi di uomo e di maestro di fronte alla Shoah e ne fece partecipe i suoi allievi, con lezioni, per esempio, sul compito della tefillà durante e dopo la Shoah, insegnando come scopo della nostra vita sia l’attaccamento (devekut) al Santo e Benedetto, cercando di tradurre in realtà la Torà; una delle strade per ottenere questa devekut è quella dell’unione ai talmidé chachamim. E se non ci sono talmidé chachamim che cosa dobbiamo fare? In mezzo al silenzio sceso nella sala, il Rav Amital alzò la voce dicendo: “Ci dobbiamo unire allora all’ebreo semplice, con un amore vero; questo è quello che ci manca: amore sincero per il prossimo…”.
Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università Ebraica di Gerusalemme