Giorgina Arian Levi – Il terrore in un quadro

Nel luglio scorso ho villeggiato durante alcuni giorni a Coazze, località montana piemontese, rinomata per il suo grandioso parco municipale, dove nella bella stagione il Comune è solito organizzare frequenti manifestazioni culturali di alto livello. Fra quelle a cui ho assistito mi ha particolarmente interessato una mostra di pittori, che esponevano alcune loro opere all’ombra dei frondosi alberi e nello stesso tempo stavano dipingendo un nuovo soggetto ispirato per lo più da particolari dello spettacolo naturale che si offriva ai loro occhi.
A un certo punto mi fermai stupita e turbata da una improvvisa visione di Israele. Collocata su un cavalletto, fra numerosi altri quadri dai colori vivacissimi ispirati a temi relativi all’Oriente asiatico, mi trovai di fronte alla descrizione solitaria di un inconfondibile, drammatico e angosciante particolare dell’Israele di oggi. In un’atmosfera dai colori scialbi, smorti, occupa quasi tutto lo spazio della tela una strada grigiastra costeggiata da un desolato edificio diroccato, e in lontananza, l’ingresso della città di Hebron, occupato soltanto da un grande veicolo militare e da alcuni soldati.
Domina interamente il primo piano, e ne occupa tutto lo spazio, una tipica famiglia di ebrei ortodossi: un giovane, un padre, una madre che spinge una carrozzina e a fianco due bionde bambine, tutti con abiti neri. È un nero accentuato dal candore della gonna della madre, dalle camicette sotto lo scamiciato lungo fino ai piedi delle bambine, dalla kippà degli uomini, e, particolare più sconvolgente, sul candore dell’ampio scialle rituale che avvolge il dorso del padre un poderoso mitra nero, a tracolla. Questo particolare colpisce violentemente per la contraddizione implicita tra il vestimento religioso e lo strumento di morte, indice dello stato d’animo delle famiglie israeliane, soprattutto quelle abitanti nei territori occupati, pronte a sparare al minimo indizio di pericolo.
Desiderai conoscere l’autore del quadro e i motivi che l’avevano spinto a scegliere di Israele una scena così inquietante. Era presente: una pittrice francese, Marie Christine Stenger, residente nel nostro Piemonte, che ha desiderato prolungare il colloquio con una visita a casa mia. Ho così appreso che, studiosa di antropologia e appassionata viaggiatrice, ha inteso nelle sue opere dare valore alla gente perseguitata, raffigurata anche negli altri quadri, quali, ad esempio, monaci e donne del Tibet, l’afgano Massud ucciso da Bin Laden, e un suo seguace che prega.
La scena del quadro risale al 25 dicembre del 2000: era un sabato pomeriggio e sulla strada deserta per Hebron Christine ha visto quella numerosa famiglia – in realtà c’erano anche due ragazzini – e ha voluto rappresentarla mentre vive in un clima di permanente violenza e terrore. Lo stesso clima in cui probabilmente vivono i palestinesi di Hebron.

Giorgina Arian Levi
(Ha Keillah – dicembre 2003 / Kislev 5764)