Giorgina Arian Levi – La storia di un quadro
Ospite nella Casa di Riposo Ebraica di Torino da quasi dodici anni, consumo i miei pasti nel luminoso ampio salone da pranzo, occupato da tre file di tavoli a quattro posti. Il primo giorno, libera di scegliermi una compagnia gradita, senza esitazione mi sedetti al primo tavolo presso la signora Ada Jona, che era stata una cara amica di mia sorella. Conservai quel posto per molto tempo, fino a che mi incontrai con una nuova ospite, la ultranovantenne energica Jole Luzzati Segre, madre di un compagno di partito. La nuova ospite era stata riluttante a lasciare la sua abitazione e aveva accettato il trasferimento soltanto per esaudire il desiderio dei figli lontani di lasciarla fra persone amiche e protetta. Per rasserenarla, mi sedetti al suo tavolo e fino alla sua morte godetti della sua amicizia e della sua grande intelligenza.
Mi resi conto allora che, fino a quando le forze me lo avessero permesso, avrei potuto contribuire a interrompere dolorose solitudini e acquistare nuove amicizie spostandomi presso quegli ospiti che per vari motivi erano rimasti soli durante i pasti. Così, anno dopo anno, ho cambiato ben otto tavoli, spostandomi casualmente verso il fondo del salone.
Ora occupo da molti mesi uno dei due tavoli appoggiati a due mezze pareti divisorie, insieme a un caro parente. Di lì ogni tanto volgo distrattamente lo sguardo verso un dipinto appeso alla mia sinistra, uno dei pochi sparsi nel salone che ho sempre immaginato fossero residui di donazioni. Rappresenta un Sefer Torà aperto su due colonne del testo, con la fascia gialla dai motivi floreali rossi appesa a uno dei supporti dei due rotoli, e ai piedi, morbidamente adagiato su un divano verde, il manto di velluto nero che reca la scritta in ebraico, ricamata in oro: “onore alla Torà”. Circa due mesi fa ebbi la curiosità di conoscerne l’autore e cercai la firma. E fui assai stupita di scoprire che era quella, ben nota a molti ebrei torinesi, di Mauro Chessa, che fu mio allievo al ginnasio e con il quale conservo tuttora una viva amicizia. Incuriosita, gli chiesi informazioni per email. E Mauro per altrettanta via mi inviò la seguente breve storia del quadro e dei sentimenti che lo accompagnarono: “… si trattava di una mostra organizzata allo Spazio Bolaffi per raccogliere fondi per il restauro del tempio piccolo della Comunità… So che un quadro analogo (stesso soggetto Sefer Torà) dei quattro che avevo dipinto, fu esposto in Svizzera nel 1996.
Il soggetto era estremamente interessante e il rotolo con la custodia e una sciarpa bellissima (senza la corona però…) mi era stato prestato dalla Comunità, dopo una richiesta al rabbino di Roma, per sapere se un goy come me poteva avere il permesso di dipingerlo. Si trattava di un Sefer Torà non più valido e quindi il permesso mi fu dato.
Non ti nascondo che, nonostante il mio laicismo a tutta prova, la presenza di quest’oggetto, così carico di significati, mi aveva suggestionato, ed è per questo che dipinsi ben tre versioni, di cui una fu donata alla Comunità, ed è quella che tu conosci. Non escludo, conoscendo l’autore, che egli si ripromettesse magari lauti acquisti da parte di facoltosi membri della Comunità, ma non se ne fece mai nulla e gli altri tre quadri giacciono, coperti di polvere, nel mio studio…”
La sottoscritta allora ha sottratto alla polvere almeno uno dei suggestivi quadri di Mauro Chessa per offrirlo in dono all’unico fra i suoi nipoti che conosce molto bene l’ebraico e sa leggere la Torà.
Giorgina Arian Levi
(HaKeillah – giugno 2003 / Sivan 5763)