lutto…
In preparazione al 9 di Av si parla di lutto antico e lutto nuovo, lutto pubblico e lutto privato. Quello “antico” e pubblico è in ricordo di eventi remoti, come le distruzioni del Santuario di Gerusalemme, che malgrado la distanza temporale, vengono ricordati come se fossero avvenuti l’altro giorno, tanto forte ne è l’impatto sull’attualità. Lutto privato è quello dei singoli. E’ caratteristica della tradizione unire le due cose insieme, prescrivendo analoghe norme, ma anche prevedendo forme di consolazione comuni; a chi è in lutto privato si legge la frase di Isaia (66:13): “come una persona viene consolata dalla madre, così vi consolerò, e sarete consolati in Gerusalemme”. In questi giorni di qinòt, di elegie, la cui memoria conserviamo con attenzione (shamor), la sintesi tra pubblico e privato è brillantemente espressa in un raffinato gioco di parole di Leon da Modena. Componendo una poesia in morte del suo maestro, le cui parole hanno senso sia in ebraico che in italiano (Moshè morì in ebraico significa Moshè mio maestro, e in italiano Moshè morì), iniziò con le parole Quinà shemor, “custodisci un’elegia”, ma anche “chi nasce mor”.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma