Quali rabbini, quale futuro – Scusi rav, che lavoro fa?

Che cosa hanno in comune un ortopedico, un otorino, un analista, uno psichiatra, un chirurgo addominale, un medico legale, un direttore sanitario? Uno cura le fratture, l’altro si occupa del naso e dell’orecchio, uno fa le analisi del sangue, l’altro tratta le malattie mentali, uno opera la pancia, l’altro fa le perizie e le autopsie, l’altro si occupa di organizzazione sanitaria. Dopo anni di lavoro nel proprio campo nessuno potrebbe fare quello che fanno gli altri specialisti. Eppure tutti quanti, all’inizio, e per molti anni, hanno studiato medicina sugli stessi libri. La scienza è vasta e cresce continuamente e non consente di essere esperti in tutto, anche se all’inizio si è studiato un po’ di tutto. Ciò che è chiaro a tutti per la professione medica, e lo stesso si potrebbe dire per quella ingegneristica, o legale o per tante altre attività, non è affatto chiaro per l’attività rabbinica. Si può essere rabbini (nel senso che si è completato un corso di studi e ricevuto un’ordinazione) e fare attività molto differenti: rispondere a quesiti rituali, fare derashot, insegnare nelle scuole a vari livelli, insegnare in una yeshivah, scrivere articoli divulgativi o traduzioni, scrivere commenti, testi di studio o responsa, comunicare con il largo pubblico (radio, televisione, internet – per chi considera lecito l’uso di questi mezzi), celebrare matrimoni, esercitare l’attività di giudice in un tribunale rabbinico, controllare la produzione di prodotti kasher, esercitare l’attività di shochèt, bodèq (ispettore delle carni) e menaqqèr (pulitore delle carni dalle parti proibite), gestire l’organizzazione dei servizi rituali (sinagoghe, mikvaot, kashrut, educazione), gestire le operazioni di tzedaqà nelle sue varie forme, rappresentare la propria comunità davanti alle autorità e i mezzi di informazione, parlare e consigliare il pubblico su una vasta gamma di problemi, da quelli psicologici a quelli famigliari o economici, fare il sofer (scriba), occuparsi del dialogo interreligioso (nei limiti del lecito). Possiamo aggiungere una vasta gamma di altre prestazioni che vanno dall’interpretazione dei sogni alla ricerca di posti di lavoro, all’aiuto nelle liste di attesa, alle raccomandazioni varie e a ogni forma di assistenza sociale. Probabilmente questo primo elenco manca di molte altre cose. Ho visto anche il rabbino capo di una grande città europea cercare di assistere un viaggiatore che era arrivato all’aeroporto e si era dimenticato il passaporto: che si fa in questo caso? Si chiama il rabbino. Cosa hanno in comune tutte le persone che svolgono queste attività “rabbiniche”? Prima di tutto hanno svolto (o avrebbero dovuto farlo) un lungo percorso di studi basici di Torah, specificamente dedicati a Talmud e Halakhah. Poi le circostanze della vita, la ricerca di un’occupazione e le inclinazioni naturali hanno portato le persone a destinazioni diverse, talvolta perfettamente congeniali con le predisposizioni e la preparazione, altre volte meno, qualche volta al disastro. Ogni persona si trova nel corso della sua vita ad incontrare tanti rabbini differenti e a chiedergli le prestazioni più disparate. Qualche volta si è fortunati, la persona giusta e capace al momento giusto. Altre volte si sbaglia con risultati deludenti. Ma non si può chiedere tutto a tutti. Oggi (ma non è una novità) sono in molti a chiedere alle strutture di formazione rabbinica italiana che si producano Maestri adatti a svolgere il loro ruolo nelle comunità. Chi va a fare il rabbino capo dovrebbe capire qualcosa di pubbliche relazioni, comunicazioni, psicologia, management ecc. Ma non tutti vanno a fare questo, perché come si è detto si può essere rabbini in tanti modi differenti e anche le necessità sono varie. E allora invece del consueto lamento rituale sull’inadeguatezza degli studi, bisognerebbe forse concentrarsi sulla qualità della formazione di base, sviluppando poi programmi più specifici sulle inclinazioni e le offerte del mercato. Ma ci vorrebbe anche un abbondante “materiale” umano, di persone disponibili. Il primo problema da noi è che in realtà tutte queste persone disponibili non ci stanno. Perché? Ne parleremo un’altra volta.

rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
(Pagine Ebraiche, luglio 2010)