Moshè…
…e l’Eterno mi disse allora: “Basta, non continuare più a parlarmi di questo fatto!” (Deuteronomio 3:26). La scorsa settimana avevo scritto che il peshat (interpretazione letterale del testo), lasciasse intendere che la supplica di Moshè avesse un fine personale e che, in quanto tale, non poteva essere ascoltata. Ma ad ‘Ovadià Sforno (Cesena 1470/5 – Bologna 1550), l’immagine del nostro più grande profeta che prega per se stesso, non piace e così commenta al riguardo: “perché desideravo fortemente mantenervi in essa, affinché non siate mai esiliati da essa, mentre Egli già aveva decretato che la vostra discendenza sarebbe andata in esilio”. Ben diversa allora è la situazione per il rabbino romagnolo: Moshè Rabbenu che secondo il salmista era stato reso “di poco inferiore agli angeli” (Salmi 8:6) era a conoscenza del fatto che il popolo da lui guidato fino alle soglie di Eretz Israel, in futuro sarebbe stato esiliato da essa. Dunque, forte delle sue esperienze positive nel far recedere il Signore dalla Sua decisione negativa, Moshè prega con fervore ed un’insistenza tale da far dire al Signore “Basta”. La grandezza di una guida si vede anche quando si prende carico di quelle che, dai più, sono considerate solo “cause perse”…
Adolfo Locci, rabbino capo di Padova