Prese di coscienza
Un’intervista rilasciata dalla celebre astrofisica Margherita Hack sull’ultimo numero di Pagine Ebraiche ha sollevato nuovamente l’antico problema dell’impegno civile e della responsabilità morale dell’intellettuale. La Hack ha ricordato il contributo dato alla sua formazione dagli insegnamenti della professoressa Enrica Calabresi, costretta a lasciare la Cattedra per la sua condizione di ebrea, poi arrestata, nel 1944, e morta suicida. Confessa, a tale proposito, di non avere avuto il coraggio, a quei tempi, di manifestare la sua solidarietà alla scienziata perseguitata, e di non essersi mai riuscita a perdonare tale scelta di passività.
L’intervista ha sollecitato un intervento, su l’Unione informa di giovedì scorso, della lettrice Sharon Nizza, la quale ha colto l’occasione per ricordare le ripetute posizioni violentemente anti-israeliane espresse dall’astrofisica, in numerose occasioni (per esempio, nell’appello “Gaza vivrà”, in cui si evocano i campi di concentramento nazisti e si accusa lo Stato di Israele di deliberato “genocidio” ai danni di cittadini inermi), rammaricandosi che, nell’intervista citata, non le sia stato chiesto conto di tali affermazioni. E Ugo Volli, domenica 25 luglio, ha espresso delle interessanti considerazioni sulla fascinazione spesso esercitata sugli intellettuali dalle ideologie totalitarie e illiberali (ieri il fascismo, poi il comunismo, oggi pacifismo radicale, terzomondismo ecc.), attestata, nel nostro Paese, dai molti casi di uomini di pensiero disinvoltamente passati, nel dopoguerra, dalla militanza fascista a quella comunista.
A mio avviso, dovrebbe essere effettuata una netta distinzione tra le posizioni politiche assunte da tali persone, in giovane età, sotto il regime fascista, e le scelte e le opinioni maturante successivamente, dopo la guerra.
Durante il fascismo, come si sa, l’intera società italiana era permeata dal pensiero unico, dal mito del ‘capo’ e dal culto dell’autorità, il servilismo regnava sovrano, la parola ‘democrazia’ era usata in senso dispregiativo, il dissenso era pressoché clandestino. E, per quanto riguarda gli ebrei, l’opinione pubblica era fortemente condizionata dalle posizioni della Chiesa, ancora improntate a un sostanziale, sistematico antisemitismo. E nessuno, soprattutto, avrebbe potuto neanche lontanamente immaginare fin dove avrebbe potuto condurre il delirio nazista. Ciò spiega come il manifesto della razza e le leggi del ‘38 e del ’39 siano stati accolti in una generale indifferenza, al di là dell’entusiasmo delle frange più violente del regime e dell’indignazione di pochi coraggiosi. Perfino alcuni ebrei, com’è noto, cercarono di riconquistare la fiducia del Duce, organizzando dei pogrom punitivi (il triste caso di Ettore Ovazza) contro altri ebrei, considerati… “più ebrei” di loro!
È in tale contesto che viveva la giovane Hack, quando assistette in silenzio all’epurazione della sua maestra. Quanti, in coscienza, possono dire che, cresciuti in quell’epoca, con quella formazione, quell’educazione al conformismo e all’obbedienza, si sarebbero comportati diversamente? Eppure, di tale pavidità giovanile la Hack appare sinceramente contrita, tanto da dire di non riuscire ancora a perdonarsi. È, certamente, una manifestazione di sensibilità che le fa onore, e che le va riconosciuta.
Le posizioni politiche – della Hack e di chiunque altro – espresse ai giorni d’oggi, però, vanno valutate, necessariamente, in modo diverso, direi senza ‘sconti’ e ‘indulgenze’. Oggi non c’è più il pensiero unico, non c’è un capo a cui ubbidire, la dignità dell’uomo non dipende da divise e gagliardetti. I valori della democrazia, della civile convivenza tra i popoli, della tolleranza e della pace sono, almeno a parole, universalmente condivisi. Non dovrebbe essere così difficile capire chi difende questi valori, e chi invece li calpesta. E, dopo Auschwitz, il mondo sa, o dovrebbe sapere, a cosa possa portare l’odio antiebraico. Coloro che hanno firmato un appello come “Gaza vivrà” non possono, in nessun modo, essere giustificati.
Certo, come ha ricordato Guido Vitale, in risposta alla lettrice Nizza, la Hack è stata intervistata come donna di scienza, e non certo per le sue opinioni su Israele. Tali opinioni non faranno venire meno la stima per la scienziata, ma neanche la stima per la scienziata farà venire meno il severo giudizio sulle sue opinioni: per le quali vorremmo sperare in un cenno di resipiscenza, analogo a quello nobilmente espresso per la vicenda di Enrica Calabresi.
Francesco Lucrezi, storico