Qui Livorno – Storia di mare, libertà e nuovi diritti

Il testimone passa da Trani a Livorno. Cambia la costa, ma la città capofila della Giornata Europea della Cultura Ebraica resta anche quest’anno una località marittima. Affacciandosi dalla Terrazza Mascagni, luogo di suggestioni mediterranee nel centro di Livorno, lo sguardo volge verso occidente. A centinaia di chilometri si possono immaginare le spiagge della Spagna da cui hanno tratto origine le fortune di questo centro ebraico. Piccolo agglomerato con alcune decine di sudditi fino a tardo Cinquecento, la città ha una storia che molto spesso parla proprio spagnolo, lo spagnolo (e il portoghese) parlato dagli ebrei sefarditi in fuga dall’Inquisizione. La città nasce per volere del Granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici che vuole limitare la decadenza di Pisa, passata sotto dominio fiorentino e senza più sbocco diretto sul Mar Tirreno, creando un vicino scalo portuale in grado di dare nuova linfa ai commerci. Ferdinando I ha una felice e lungimirante intuizione: aprire Livorno ai “mercanti di qualsivoglia Nazione”. Nel 1591 (e una seconda volta nel 1593 con alcune lievi modifiche) promulga le Costituzioni livornine, che garantiscono a chiunque prenda residenza a Livorno o Pisa libertà di culto e di mestiere, professione religiosa e politica, annullamento dei debiti e di condanne per almeno 25 anni. È una tappa decisiva per gli ebrei sefarditi senza una patria: dopo anni di massacri e conversioni forzate, ottengono diritti fino a quel momento sconosciuti. Inizia così una vicenda di integrazione quasi unica nella cristianissima e antisemita Europa che inceneriva la sua coscienza nei roghi.

Gli ebrei prosperano e fanno prosperare Livorno. Sono rispettati e anche nei momenti di maggiore tensione con le autorità e con il popolino non conoscono mai le privazioni e i confini rigorosi imposti dei ghetti. La cosiddetta Nazione ebrea cresce di numero in modo vertiginoso, in pochi decenni la comunità vede decuplicare i suoi iscritti: dai 134 ebrei registrati nel 1601 si arriva ai 1250 del 1645. A fine Settecento gli ebrei sono il 15 per cento della popolazione, nel 1810 sfiorano le 5 mila unità grazie a consistenti flussi migratori dal Nordafrica. È il momento più alto per la Livorno ebraica. Poi è il declino: in breve tempo inizia una lenta ma inesorabile decadenza dovuta in particolare alla crisi dei commerci. Poco più di un secolo di alti e bassi e la seconda guerra mondiale spazza via per sempre il punto di riferimento degli ebrei livornesi: la splendida sinagoga monumentale che in oltre tre secoli di storia ha ospitato fior di rabbini, tra cui il celeberrimo rav Chidà che per quasi 30 anni operò a Livorno, e fatto sognare principi e regnanti in visita di cortesia. La Comunità ebraica di oggi è molto ridotta nei numeri rispetto al passato e può essere considerata una media Comunità. Ma nonostante la crisi demografica e la fuga dei giovani che sempre di più cercano altrove, nelle grandi città o in Israele, opportunità lavorative, continua a partecipare alla costruzione democratica del futuro di una realtà che in tempi di razzismo crescente è ancora faro e modello di integrazione. Lo fa con un occhio di riguardo a ciò che fu: in occasione della prossima Giornata europea della cultura ebraica è infatti previsto l’ampliamento dello spazio espositivo del Museo ebraico di via Micali. Preziose testimonianze di un tempo usciranno dagli archivi e vedranno finalmente la luce. Gli oggetti certo non parlano. Ma quelli in possesso degli ebrei livornesi sono particolari. Ci raccontano di un passato glorioso, di abili commercianti, di un grande fervore religioso, di una sinagoga gioiello, di una tradizione liturgica ricchissima. Quel passato che oggi è la base del futuro.

Adam Smulevich, Pagine Ebraiche, agosto 2010