Dove è la realtà
Il Tizio passa le estati su una collina. Sulla collina c’è un borgo, anni fa con il gruzzolo di sotto al materasso ci prese una piccola casa con la scala esterna che scende nel vicolo. Di fronte alla casa, c’è il mare. Il Tizio neanche va troppo al mare, si mette nella cantina della piccola casa e ascolta la musica. E’ questa la pace, dice il Tizio a sé stesso nella frescura del semi-interrato, mentre la Tizia, sua moglie, gli passa un tè freddo e la musica cala sulle tempie come frescura. Poi succede che nel vicolo la casa di fronte alla loro viene affittata, e compaiono due come di un popolo di giganti: un attempato gigante-uomo e una gigantessa con i capelli candidi come neve. Sono silenziosi. Il Tizio li vede solo la sera, quando passano senza una parola e lui siede sulla scala e guarda il vento del vicolo. Di solito non li vede, devono alzarsi al mattino presto e poi andare al mare tutto il giorno, oppure chissà, vanno nei boschi, o magari agli scavi archeologici. Al Tizio non rimane che la sera per guardare i nuovi vicini che poi partiranno e non vedrà più, perché sono gente di passaggio, sono turisti. Perciò adesso pensa a loro, dentro di sé ne indaga l’origine. Intanto cominciamo col dire che sono particolari. Hanno portamento: l’uomo altissimo porta i capelli bianchi raccolti in una lunga coda, indossa una maglietta nera. Ha il volto marcato, impassibile, ma il primo giorno quando passa sorride. Non parla. La sua altissima compagna, anche lei veste di nero, guarda il figlio del Tizio e il figlio del Tizio ha i capelli lunghi, ha sedici anni e suona la chitarra elettrica. E una sera quando i giganti tornano forse dal mare, forse da una gita, però sembra che tornino dalla luna, sentono il figlio del Tizio che suona la chitarra elettrica e la gigantessa sorride al ragazzo. Il fatto è bello, chissà chi sono quelli. Mah, pensa il Tizio, saranno due artisti; forse lui è uno scultore e lei la sua antica modella, come in un antico film di Bergman. Poi c’è che da qualche giorno nella piazzetta accanto al vicolo del Tizio sono ferme due moto, vecchie Harley Davidson. Un mattino che il Tizio sta tornando dal giornalaio, si ferma e guarda le moto. Gli piacciono quelle moto, gli ricordano altri tempi. Sta lì e le culla con lo sguardo come da ragazzo, osserva i serbatoi, gli ampi sellini, il manubrio alto. Si piega a guardare meglio il serbatoio della moto più attempata, una moto nera e opaca. Sul serbatoio, c’è una croce celtica. Il Tizio ha un brivido nella schiena e pensa: questo è proprio un brivido nella schiena, non ne avevo da anni. La notte si gira nel letto e si gira ancora, non riesce a dormire. Pensa: che è quella croce celtica sulla moto nera? E se poi quei due sono nazisti? Lei ha sorriso a mio figlio, ma ha i denti bianchi e affilati, lui non parla, non sorride: che vorrà dire? La porta della casa dei due giganti è di fronte alla cantina dove il figlio suona, mangia e dorme; e così il Tizio pensa: e se nella notte quei due escono fuori dalla loro casa con delle asce affilate e, Dio non voglia, entrano dal figlio e si gettano su di lui come fosse un agnello? Ma no, che stupidaggine. Tu guarda queste improvvise paure, per una croce celtica, oggi le croci celtiche te le tirano dietro. Tutto questo non vuol più dire niente. L’altro giorno alla reclame sulla storia della Seconda guerra mondiale c’era Hitler che sorrideva con dolcezza. Giocano coi simboli, uh che sonno, e finalmente dorme. La sera dopo il Tizio è lì che siede sulle scale, guarda il vento del vicolo. Nel vicolo arriva il gigante, il Tizio pensa: facciamo amicizia, e gli sorride. L’uomo tira a dritto come se il Tizio non ci fosse, come non si fosse accorto che il Tizio adesso lo stava salutando, come se ritenesse che il Tizio non esiste. Il Tizio ha un secondo brivido. Sono due nazisti. Sì, è andata così, hanno saputo che al borgo ci sono ebrei, e che questi ebrei stanno nella casa di fronte alla loro, e adesso lo vedi? Non ci salutano, pensa il Tizio, guarda come ci odiano. Ma no, pensa il Tizio, sto esagerando. Comunque, si domanda, dove è finita la realtà? Smette di pensare al fatto che per il gigante lui non esiste, ma gli rimane dentro una striscia di paura. La mattina dopo vede i giganti turisti uscire dalla porta di fronte. Hanno borse, tute nere, stanno partendo. Parlano sotto voce. Il Tizio tende l’orecchio, non è mica tedesco. Si direbbe una lingua scandinava. I due giganti doppiano l’angolo del vicolo, spariscono. Si sentono i motori delle moto,: un rombo, due rombi. Una moto si spenge, non ce la fa a partire. Deve essere la più vecchia, con la croce celtica. Signore fa che si metta in moto, se ne vadano e tornino alle loro terre pagane. Dietro l’angolo, finalmente un rombo. Un altro rombo pieno, la moto parte. Si sentono le moto che si allontanano. Le moto che spariscono. Più tardi, nel mattino, arrivano quelli delle pulizie e rassettano la casa di fronte. Il Tizio getta uno sguardo, la casa è vuota. Non ci sono più. Oggi il cielo è coperto, è proprio una bellissima giornata.
Il Tizio della Sera