Davar Acher – Lo scontro di civiltà

L’idea di uno “scontro di civiltà”, proposta da Samuel Huntigton in un articolo del 1993, è diventato una specie di tabù per il perbenismo intellettuale. Esso in realtà si opponeva al pensiero neoliberale del tempo (Fukoyama), per cui la globalizzazione avrebbe portato per forza a una pace economica universale e alla “fine della storia”. L’esperienza degli ultimi vent’anni mostra che Huntigton aveva sostanzialmente ragione e che alla base dei numerosi conflitti attuali vi sono non solo conflitti economici tutt’altro che sopiti, come la lotta per l’accesso alle materie prima, ma soprattutto una dimensione di “teologia politica” (così definita da Carl Schmitt e discussa acutamente da quell’anomalo ma importante pensatore ebraico che è Jacob Taubes. Il punto acuto dello scontro di civiltà si incentra oggi sulla pretesa teocratica dell’islamismo, cioè sulla sua spinta a estendersi a tutto il pianeta e a non distinguere fra una sfera religiosa e una civile.
Il cristianesimo, fin dai tempi di Gesù (“date a Cesare…”) o almeno di Costantino, ha accettato in linea di principio la separazione delle due sfere. La tradizione ebraica conosce bene la teocrazia; la parola è stata inventata da Giuseppe Flavio proprio per descrivere il potere politico dei Grandi Sacerdoti durante il Secondo Tempio (che fu peraltro soprattutto interno, rientrando Israele nella sfera di potere di grandi imperi). E nelle Scritture si discute sulla legittimità stessa di un’autonoma sfera politica (cioè di un re): consentito con limitazioni sia nel Deuteronomio, sia con l’istituzione del regno di Saul, voluto dal popolo “per essere come gli altri” e accettato a malincuore da D-o come un “rifiuto” di Lui (raro esempio di volontà divina piegata a quel che non vuole). Sessant’anni fa Israele si è comunque rifondato come uno stato laico e democratico, in cui la fonte delle leggi è la volontà degli elettori e non quella divina. La dimensione teologico-politica dell’ebraismo resta (quante volte nelle preghiere invochiamo D-o come Melekh…) ma confinata nella sfera religiosa, salvo forse per i settori più estremi dello schieramento religioso. E soprattutto l’ebraismo non pretende di estendere le sue leggi e il suo potere agli altri popoli, accontentandosi di chiedere loro il rispetto delle generalissime norme etiche attribuite a Noè.
E’ l’islamismo oggi che mette senza freni in gioco la teocrazia, predicando il divino come unica fonte di legge e di potere per tutti i popoli e negando ogni sistema politico che non ne derivi direttamente. E’ una pretesa che costituisce un esplosivo fattore di sovversione interna e di scontro esterno. Quando si discute di religioni, dei loro diritti e della loro libertà, questa differenza dev’essere sempre tenuta in conto.

Ugo Volli