Qui Livorno – Quando il rav Elio Toaff declamava versi in bagitto

Enrico Levi, giornalista livornese vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando riceveva comunicazioni scritte provenienti dalla Comunità ebraica le buttava nel cestino senza neanche aprirle. “Lo chiamano il pittoresco bagitto ma fa schifo a sentirlo parlare”, commentava sdegnato. Povero bagitto: il caratteristico gergo vernacolare degli ebrei livornesi non ha mai avuto fortuna tra gli intellettuali. Lingua bassa già a partire dal nome – l’origine è nel termine spagnolo bajito che significa “cosuccia da poco” – è una miscela sviluppatasi nel diciottesimo secolo che assorbe le molte identità della Livorno giudaica. Nel suo vocabolario, composto in prevalenza da modi di dire piuttosto che da una vera e propria grammatica, parole italiane si mescolano a termini spagnoli, ebraici, portoghesi e arabi, dando vita a fusioni dal timbro vivace e talvolta incomprensibile. Sono parole che da secoli circolano anche nella società esterna. Se andate in una pasticceria del centro di Livorno e chiedete di assaggiare una specialità del posto, con tutta probabilità vi consiglieranno le roschette, gustose e fragranti ciambelline il cui nome è proprio di derivazione bagitta. “Le roschette sono solo uno dei tanti esempi di questa contaminazione linguistica”, spiega Pardo Fornaciari, scrittore satirico e primo studioso ad occuparsi in modo scientifico delle origini del bagitto (pochi altri lo hanno fatto in seguito, tra cui lo studioso di ebraismo e parlate ebraiche Umberto Fortis). Pardo è un vero segugio. “Se sento qualcuno parlare bagitto lo riconosco al volo. È un linguaggio inconfondibile, ricco di nasalizzazioni, scambi di consonanti e modi di dire mutuati dai testi sacri”. È uno studente liceale quando si imbatte nei sonetti antisemiti di Giovanni Guarducci. Quel linguaggio colorito lo incuriosisce e decide di approfondirlo. Le ricerche si rivelano difficili, soprattutto per la mancanza di tracce scritte. “Ad eccezione del commediografo Guido Bedarida e di pochi altri tra cui Mario Della Torre e Cesarino Rossi, non esiste una vera e propria letteratura. Il bagitto ha dato più spesso luogo a strumentalizzazioni di giudeofobi che canzonavano gli ebrei per il loro modo di esprimersi che a una produzione letteraria “. Quel gergo scompare quasi del tutto dopo la fine della seconda guerra mondiale, spiega Fornaciari. “Già a inizio del secolo scorso sbagittare era considerato indecoroso e indice di mancanza di cultura, superstizione, scarsa integrazione e limitatezza mentale”. Autore di numerosi lavori tra cui Fate onore al bel Purim, volume in cui sono pubblicati decine di sonetti e composizioni in bagitto, Fornaciari ha da poco lasciato il frutto delle sue ricerche a un giovane laureato. Si chiama Alessandro Orfano e nella sua tesi ha analizzato le peculiarità del pittoresco linguaggio ebraico in salsa livornese. Dal 2006 al 2008 ha intervistato gli ultimi ebrei che parlano o ricordano il bagitto e ha poi utilizzato le varie testimonianze orali raccolte per realizzare un dvd (finanziato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e da alcuni giorni in distribuzione gratuita) in cui i file audio si affiancano a un ricco glossario di oltre 200 termini. Orfano, la cui tesi sta per essere pubblicata dalla casa editrice Gaia Scienza, racconta un aneddoto curioso: “Non tutti lo sanno ma il bagitto resiste ancora in parte tra i commercianti del mercato Buontalenti, che lo utilizzano per non farsi capire dai clienti”. Gabriele Bedarida, memoria storica della Comunità ebraica di Livorno, non è un commerciante ma quel gergo lo conosce bene: suo padre Guido è stato il più importante commediografo in bagitto. Guido Bedarida si firmava con lo pseudonimo di Eliezer Ben David e aveva inventato uno stemma personale raffigurante un leone. Aveva inoltre messo in piedi una compagnia teatrale che recitava i sonetti e le commedie in vernacolo. Tra quei giovani attori, anche il futuro rav Elio Toaff. Uomo distinto e posato, il figlio di Guido estrae dal cassetto un giornale. È il Sor Davar, numero unico edito dal circolo giovanile ebraico di Livorno nel 1962, che tra le sue pagine ospita due sonetti di Cesarino Rossi. Si alza in piedi, fa un sorriso, schiarisce la voce e comincia a recitare.

(nell’immagine Enrico Levi con una la copia de Il Sor Davar pubblicato per la prima e unica volta nel 1962)

Adam Smulevich, Pagine Ebraiche, agosto 2010