Qui Livorno – Da Bengasi ai vertici comunitari

Il bengasino Samuel Zarrough, 65 anni ben portati, è una delle tante vittime delle persecuzioni a cui furono sottoposti gli ebrei di Libia. Internato per una settimana nel campo profughi di Capua dopo aver trascorso un mese in un campo di raccolta nel paese natio, arriva a Livorno nel 1967 insieme ai suoi e ad altre famiglie ebraiche libiche, una sessantina di persone in totale. L’impatto con la nuova città è ottimo, in breve il neolivornese Samuel matura la decisione che quella sarà la sua residenza per la vita. Oggi al terzo mandato consecutivo da presidente, Zarrough è una figura storica della Comunità ebraica: da 40 anni esatti, salvo un break di due anni e mezzo ormai datato, è nel Consiglio. Fa il commerciante e conosce mezza Livorno. Basta fare una passeggiata con lui in via Grande, dove ha sede la sua attività, per rendersene conto. Quasi tutti i passanti lo salutano e lo invitano (generosamente ricambiati) al bar per un caffè. “Integrarsi qui è facile, i rapporti tra persone sono spontanei”, spiega. Gli ebrei sono visti con simpatia, racconta. “La Comunità ebraica, come ama ripetere il sindaco Alessandro Cosimi che è un nostro sincero amico, è considerata parte della città e non un corpo estraneo”. Rari i problemi e le tensioni, eccezion fatta per quei rigurgiti di antisemitismo che talvolta fanno capolino quando le vicende mediorientali subiscono una deriva sanguinosa. “Ma nel complesso non possiamo lamentarci”. Anche il rapporto con le gli enti bancari, risorse indispensabili per programmare il futuro della Comunità e delle sue strutture, va per il meglio. “Grazie alla Cassa di risparmio di Livorno che ci sostiene in molte iniziative importanti, presto sarà possibile procedere al restauro del vecchio cimitero ebraico”. L’arrivo di Zarrough e delle altre famiglie libiche alla fine degli anni Sessanta, movimenta la vita religiosa degli ebrei livornesi. La ricca tradizione liturgica libica varca la soglia della sinagoga e si unisce alla altrettanto ricca tradizione corale livornese. Lo stesso Zarrough spesso officia le funzioni alla maniera bengasina. E pur non essendo mai tornato nei luoghi della sua gioventù (“sono stato a Tripoli come membro di una delegazione incaricata di trattare con Gheddafi per eventuali risarcimenti ma non ho avuto la possibilità di fermarmi a Bengasi”), mantiene un contatto costante con i luoghi e la cultura di origine. “Leggo molti autori arabi, i miei preferiti in assoluto sono gli scrittori egiziani”. La sveglia del presidente suona prestissimo, alle sei di mattina. “Dormo poco, mi bastano anche solo quattro ore di sonno per riposarmi”. Dopo la sveglia arriva il momento di fare shachrit (la preghiera mattutina), poi colazione con immancabile caffè, apertura del negozio di profumeria che gestisce insieme ai fratelli e mente lucida per concentrarsi sui problemi della Comunità. “Che non sono pochi”, commenta. Gli Zarrough sono una piccola tribù (“quattro fratelli, sei sorelle e venticinque nipoti”) molto unita. Vivono in parte a Livorno e in parte a Roma. Si sentono spesso al telefono: “I miei nipoti, nonostante alcuni di loro siano geograficamente distanti, mi chiamano quasi ogni giorno”. Neanche a farlo apposta e squilla il cellulare. È Vito Kahlun, figlio di uno dei suoi tanti fratelli e giovane attivo in politica nelle fila del Partito repubblicano, che lo chiama per chiedergli un parere. “Visto, che ti dicevo?”, sorride Zarrough. Il presidente è una persona istintiva e a chi lo conosce poco o solo di facciata può sembrare un brontolone (rav Kahn z.l diceva di lui: “Samuel ha sempre ragione, ma solo nel secondo ragionamento”), però confessa che alla fine non sa mai dire di no. Soprattutto ai giovani, che in lui vedono un punto di riferimento e di cui si considera “un umile servitore”. Il suo pallino è il Talmud Torah: “Le Comunità possono salvarsi solo con un Talmud Torah forte”, dice. Zarrough, uomo di grande fede, ha un sogno che spera di realizzare presto: “Mi piacerebbe che l’educazione dei bambini iniziasse a cinque anni come suggerisce il Pirkè Avot”. La collaborazione con rav Didi, giovane guida spirituale degli ebrei livornesi, è proficua e non conosce ostacoli significativi. “Da quando sono presidente, e cioè dai tempi di rav Laras, non ho ricordo di grosse divergenze con i miei rabbini”.

Adam Smulevich, Pagine Ebraiche, agosto 2010