Qui Venezia – Amos Luzzatto: “Una grande Giornata per l’arte ebraica”
Torna la Giornata della Cultura Ebraica a Venezia e la Comunità lagunare si prepara ad accogliere nuovamente l’iniziativa con un programma di appuntamenti all’avanguardia per le offerte culturali che vengono presentate in linea con una tradizione che ha radici profonde e lontane nel tempo. Ne parliamo con il presidente della Comunità ebraica di Venezia, Amos Luzzatto, che parlerà domenica 5 settembre dell’arte nella tradizione ebraica argomento che riprende il tema generale della giornata dedicata quest’anno al binomio arte ed ebraismo.
Da sempre Venezia è simbolo di cultura, commercio e arte, riguardo a questo punto come ha contribuito nei secoli la componente ebraica alla crescita artistica della città?
A Venezia sono presenti spesso elementi di cultura ebraica nella produzione artistica generale con quadri nei quali figurano lettere ebraiche o ipotetiche frasi in ebraico che hanno la loro importanza. Il fatto stesso che a Venezia si santifichino personaggi biblici come Giobbe, Zaccaria o Mosè, che in altri luoghi del mondo cattolico difficilmente vengono santificati, rappresenta un fatto anomalo, ma indicativo. Sulla chiesa di San Zulian per esempio esiste un’iscrizione dedicata al mecenate Tommaso Rangone, filologo e medico che sponsorizzò il rifacimento della facciata. Sono presenti tre iscrizioni all’entrata, una in latino, una in greco e una in ebraico che celebrano questo dubbio personaggio. Nell’iscrizione in ebraico però c’è qualcosa di diverso rispetto a quelle in greco e in latino, si dice infatti che tale Tommaso Rangone avesse scoperto la cura per vivere ben oltre i 120 anni d’età. Forse era un cabalista pratico o più probabilmente un ciarlatano, di certo però è il simbolo di quella presenza oggettiva della cultura ebraica nel tessuto sociale veneziano. Un altro elemento fondamentale da prendere in considerazione è l’importanza che ebbe a Venezia l’editoria ebraica.
A Venezia si ricorda però di quando il Consiglio dei Dieci, allineandosi al parere della Chiesa del tempo decise di mettere al rogo in piazza San Marco non solo le copie rinvenute del Talmud, ma ogni compendio, sommario da esso dipendente.
Questo è vero, ma oltre a bruciare il Talmud, ricordiamoci che a Venezia fu anche stampato, in una veste tipografica che con poche modifiche nell’edizione di Vilna è diventato poi il formato tipografico che noi oggi studiamo. A Venezia si è poi pubblicato il Maimonide, l’intera bibbia, le Mikraòt ghedolòt e molti altri testi canonici e di mistica. Il perché una comunità di media grandezza come Venezia attirasse tanto i tipografi anche non ebrei e li spingesse a dedicare tempo, lavoro e anche preparazione per la pubblicazione di testi sacri in ebraico è un argomento suggestivo che lascia aperti ancora degli interrogativi.
E invece cosa hanno prodotto gli ebrei di Venezia a livello artistico e culturale?
Gli ebrei di Venezia hanno avuto una caratteristica che qualche volta viene raccontata come fatto di mera cronaca: raramente in comunità delle dimensioni di Venezia confluiscono realtà ebraiche di origini e provenienze diverse come invece successe qui. La prima cosa che ci colpisce sono le sinagoghe, la Scola grande tedesca, la spagnola, la levantina, l’italiana, e la Scola Canton, probabilmente franco-tedesca. Per una comunità di qualche migliaio di ebrei, con tradizioni linguistiche e culturali diverse, modi di studiare, pregare e minhaghim diversi, il fatto di essere riunita in uno spazio talmente ristretto avrebbe dovuto scatenare accese conflittualità come successe ad esempio in altri luoghi. A Venezia invece si riscontrò una notevole convergenza e tutt’al più un po’ di competizione tra le diverse Nationi che cercavano di accaparrarsi gli architetti più rinomati per la costruzione delle sinagoghe come il noto architetto e scultore Baldassarre Longhena. Ma questo non rappresenta ancora la vera arte ebraica veneziana.
Cosa intendi quindi per arte ebraica a Venezia?
Un esempio potrebbe essere rappresentato dai bassorilievi della Scola Canton, che raffigurano una serie di episodi biblici senza che ci sia la presenza di figure umane e quindi ipoteticamente in linea con il divieto di farsi immagini.
Perché dici che solo per ipotesi sarebbero in linea con il divieto di interdizione visiva?
Se vogliamo parlare in termini tradizionali, nel comandamento specifico non c’è scritto di non farsi figure umane, c’è invece scritto non ti farai nessuna figura di tutto quello che esiste in cielo o in terra al di sotto o nelle acque al di sotto della terra. Quindi in teoria anche quei bassorilievi sono immagini che contravvengono alla regola. La mia opinione ovviamente è diversa e per ora nessuno l’ha mai contestata. Il versetto prima afferma cosa non si deve fare parlando di qualsiasi immagine, poi nel versetto successivo aggiunge: “Non ti prostrerai davanti a loro e non li presterai culto”, aggiungendo un ulteriore elemento di riflessione.
Sì ma questo argomento viene appunto trattato nel versetto successivo.
Certo, ma la divisione in versetti in tutto il Tanach è masoretica, tardiva e rappresenta già una forma di commento. Se noi leggiamo il passo senza essere condizionati dal conteggio dei versetti il significato è abbastanza chiaro. Ciò che conta non è tanto il disegno, ma l’uso che ne fai. Perché se seguissimo alla lettera la regola non si potrebbero disegnare neppure le piante, adorate per esempio nel culto cananeo. Il concetto importante è non prostrarsi davanti a tali immagini. Questa interpretazione è avvalorata da grandi studiosi e trova fondamento sia nelle fonti bibliche, ad esempio i 12 tori a sostegno del mare nel tempio di Salomone, che non bibliche.
Riguardo alle fonti non bibliche puoi farci un esempio?
Alla fine degli anni ’20 al confine tra Iraq e Siria, sull’Eufrate, gli archeologi hanno scoperto un’antica basilica bizantina vicino alla città mesopotamica di Doura Europos. Continuando poi a scavare sotto la basilica hanno poi trovato una sinagoga risalente alla metà del terzo secolo completamente affrescata con immagini che riprendevano episodi biblici. Nelle immagini ad altezza uomo contenenti figure umane esse sono raffigurate con il volto bianco, senza lineamenti, al fine, si pensa, di non contravvenire al divieto di idolatria. Ma allora ripensando anche ai bassorilievi della Scola Canton a cosa potevano servire tali immagini? Queste opere artistiche avevano la funzione di commento alla lettura, rappresentavano commenti didattici alla Torah similmente alle immagini che ritroviamo nelle Haggadot di Pesach che ancora oggi utilizziamo durante i nostri Sedarim.
Michael Calimani