Qui Livorno – L’uomo che regalò un mulino a Gerusalemme

Ricchezza, fama, onore, un matrimonio felice, una vita longeva, un cuore generoso. Moses Montefiore ebbe tutto ciò che un uomo può desiderare. Nato a Livorno nel 1784 da una famiglia sefardita, si trasferì molto giovane a Londra. Nonostante conducesse un’esistenza internazionale, viaggiando costantemente e mantenendo contatti di varia natura ai quattro angoli del globo, rimase sempre molto legato alla città toscana e alla sua Comunità ebraica. Vi fece spesso ritorno ed elargì cospicue donazioni. Montefiore è ricordato come uno dei più grandi filantropi e benefattori. Iniziata la carriera a Londra, non impiegò molto tempo a mostrare le sue notevoli capacità. Si rivelò un uomo d’affari coraggioso e innovativo: fu uno dei primi, per esempio, a investire massicciamente nell’illuminazione a gas delle città europee, fondando l’Imperial Gas Association. All’inizio dell’Ottocento una legge inglese stabiliva a dodici il numero massimo di ebrei tra gli operatori della borsa della City londinese, uno dei massimi centri della finanza mondiale. Montefiore divenne uno di loro. Nel 1812 sposò Judith Cohen, figlia di uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra. Divenuto cognato di Nathan Mayer Rothschild e assistito dalla fortuna oltre che dalla sua proverbiale abilità negli affari, mise in piedi un vero e proprio impero finanziario, divenendo uno degli uomini più facoltosi del secolo. Fondò e diresse grandi compagnie assicurative, intrattenne rapporti commerciali con tutto il mondo, fu a capo della Banca Provinciale d’Irlanda, delle compagnie imperiali di estrazione in Brasile, Cile, Perù e della Compagnia coloniale della seta. Ottenne riconoscimenti ovunque e fu insignito delle massime onorificenze dell’impero britannico: Sceriffo di Londra, Cavaliere della Regina e Baronetto. A quarant’anni decise di mollare tutto. Smise di lavorare e si dedicò a opere sociali e filantropiche. Moses Montefiore non aveva ricevuto un’educazione religiosa, ma dalla sua prima visita in Eretz Israel nel 1827 – ci tornò almeno altre sei volte – divenne strettamente osservante. Si fece costruire una piccola sinagoga in stile italiano nel parco della sua tenuta a Ramsgate. Volle sempre al suo fianco uno shochet, un macellaio personale che gli garantisse di poter mangiare sempre carne kasher. Si racconta che, quando partecipava ai banchetti, si portava dietro i piatti e il cibo, senza preoccuparsi affatto di suscitare lo stupore dei nobiluomini inglesi. Ricoprì per quasi quarant’anni la carica di presidente del Consiglio dei deputati degli ebrei britannici, organo di rappresentanza nazionale delle comunità ebraiche del Regno Unito, ma il suo impegno filantropico fu diretto soprattutto verso gli ebrei in condizioni di miseria ed emarginazione. Intraprese numerose missioni all’estero: con i suoi 191 centimetri d’altezza e la sfarzosa veste da diplomatico della regina, incuteva soggezione – figura carismatica e autorevole. Consapevole di ciò, chiedeva udienza alle massime autorità e intercedeva per le sorti della comunità ebraica. Si recò dal sultano di Turchia, dallo zar Nicola I, in Romania, in Marocco e al Vaticano.

Le opere più importanti le compì in Palestina. Innamorato di questa terra, volle favorire lo sviluppo della comunità ebraica a Gerusalemme. Acquistò un terreno poco fuori della cerchia delle mura della città vecchia e vi fece costruire un mulino che, al centro del quartiere Yemin Moshè, è uno dei simboli più amati della città.

Manuel Disegni, Pagine Ebraiche, agosto 2010