Voci a confronto
Continua la scarsità estiva di notizie vere e proprie riguardanti Israele e il mondo ebraico. Certamente però non è un buon segno la raffica di attentati realizzata da Al Queida in Iraq per festeggiare a modo suo o mostrare il suo potere dopo che è stata dichiarata chiusa la missione militare americana (Alberto Negri sul Sole, redazione del Foglio, England sul Financial Times). La “notizia” più diffusa dai giornali è un tipico “fattoide”, cioè un racconto che si dà come fattuale senza le basi necessarie. Domizia Carafoli sul Giornale, la redazione di Avvenire, quella del Giorno/Nazione/Carlino, perfino quella della Gazzetta dello Sport pubblicano un raccontino praticamente con le stesse parole: “L’analisi del Dna di Adolf Hitler, ottenuto da campioni di saliva di 39 parenti del dittatore nazista, dimostra che aveva origini ebraiche e nordafricane. In particolare è stato trovato un cromosoma, l’Aplogruppo Eib1b1′, raro tra gli occidentali ma comune nei berberi in Marocco, Algeria e Tunisia, così come tra gli ebrei ashkenaziti e serfarditi.”. Dal punto di vista scientifico la ricostruzione indiretta di un Dna che esibisce, non si sa in quale proporzione, una variante rara non dimostra un bel niente. Peccato poi che la fonte di questa storia dall’aria molto scientifica sia almeno tre volte indiretta: “Lo scrive il ‘Daily Tetegraph’ citando la ricerca di un giornalista e di uno storico belgi, Jean-Paul Mulders e Marc Vermeere”. i quali però sono difficilmente qualificati a fare analisi del DNA e dunque in un testo di cui non conosciamo la collocazione scientifica né le prove evidentemente citano una ricerca, di cui non ci viene detto l’autore né i criteri di scientificità (né sappiamo nulla di 39 parenti interessati). La notizia si conclude riportando un’altra possibile bufala data come un fatto: “In passato era emerso che il padre di Hitler, Alois, potesse essere il figlio illegittimo di una cameriera di nome Maria Schickelgruber e di un 19enne ebreo, noto come Frankenberger”. Bisogna addestrarsi a leggere criticamente queste “notizie” giornalistiche, perché la tecnica dell’approssimazione disinvolta, se non proprio della menzogna è diffusissima nel giornalismo contemporaneo e non può non rispondere ai pregiudizi degli autori. Lo mostra Dimitri Buffa sull’Opinione, riprendendo un’analisi pubblicata da Deborah Fait su “Informazione corretta”: per i giornali italiani il palestinese con problemi mentali che ha dato l’assalto qualche giorno fa all’ambasciata turca a Tel Aviv ed è stato ferito dalle guardie turche, è stato invece ucciso dagli israeliani, anche se è facile verificare che non è morto”. Ma verificare è una parola estranea al lessico della stampa italiana. Se non fosse così anche nella calma estiva a qualcuno sarebbe venuto in mente di controllare con un biologo e uno storico la bufala del Dna di cui abbiamo parlato prima.
Altri articoli di qualche interesse sulla rassegna di oggi sono un’analisi di Sarah Toth Stub sul Wall Street Journal a proposito della difficoltà dell’economia israeliana di trasformare le tante piccole imprese innovative in grandi aziende; un commento di Anna Foa sull’Osservatore romano a proposito della proibizione delle immagini nella cultura ebraica, un reportage di Lorenzo Bondi su Europa a proposito degli sviluppi della sucessione a Mubarak in Egitto.
Ugo Volli