Di nuovo a Elul…

“Come è possibile che noi si trovi tempo per ogni tipo di studio tranne che per questo specifico studio che è il timor di D-o”? quando “unicamente il timore del Signore è sapienza autentica”, si domanda Rabbì Moshé Chaim Luzzatto (Padova 1707- Akko 1746) nella prefazione del suo Mesillàt Jesharim (Il sentiero dei giusti). Già Moshé Rabbenu, nelle parashot di queste settimane, ci aveva detto: “Ora, Israele, che cosa ti chiede il Signore tuo D-o se non che tu tema il Signore tuo D-o, che cammini per tutte le Sue vie…” (Deut. 10:12) e Ramchal (nella traduzione di M. Giuliani) ci spiega: “Il timore di D-o significa reverenza per la potenza divina, una reverenza simile a quella che si ha dinanzi a un re grande e terribile al punto da arrossire per la sua maestà e per ogni suo gesto ma soprattutto quando Gli si parla attraverso la preghiera o lo studio della Torà”. Facciamo bene attenzione Luzzatto ci insegna che preghiera e studio della Torà sono entrambe modi di parlare direttamente con il Signore Benedetto.
“Il camminare nelle sue vie” include tutte le questioni relative al carattere e alla sua correzione. Come spiegano i nostri maestri: “Sii magnanimo come lui è magnanimo…” (Shabbat 133b). Nulla è più importante per l’uomo che adeguare il suo carattere e le sue azioni a criteri di rettitudine e di moralità. Così sintetizzano i nostri maestri: “Qual’è la retta via? Quella che sia onorevole per chi la pratica e considerata onorevole da parte degli altri” (Avot 2:1) e cioè quella che conduce verso un bene autentico i cui effetti sono una pratica più intensa della Torà e il miglioramento delle relazioni con gli altri”.
Lo studio e la preghiera si illuminano e si completano a vicenda. Lo studio conduce all’azione, la preghiera ci fa conoscere l’intenzione. Se ci limitiamo all’azione senza ricercare l’intenzione precisa, rischiamo di stagnare o, peggio, di deviare. Attraverso le preghiere che indirizziamo a D-o perché ci aiuti a conoscere la Sua Volontà, veniamo a completare il nostro studio, che a sua volta vivrà attraverso la tefillà. I Zaddikim ci hanno insegnato che la formula ideale è: Tefillà – limmud – tefillà. (Da un pensiero di Rabbì Nachman di Braslav, riportato da I. Besancon, nel suo La porte du Ciel, Paris, 5753, p. 29).
La strada non è semplice, ma vale la pena di cercare di percorrerla con umiltà e perseveranza.

Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università Ebraica di Gerusalemme