«Nomadi». Il diritto ad avere diritti
«Noi profughi» è il titolo di un breve saggio pubblicato da Hannah Arendt nel 1943. La descrizione dei profughi ebrei, che erano riusciti a varcare le frontiere dell’Europa di Hitler, prefigura le pagine che in Origini del totalitarismo vengono dedicate alla vicenda degli apolidi, ai senza-stato, alle non-persone.
Arendt affronta la complessa questione della «cittadinanza». L’umanità si è organizzata in stati-nazione. Ma che ne è di chi si trova tra un confine nazionale e l’altro? Di chi è senza patria, senza stato, o senza nazione? Come gli zingari: «nomadi» perché trasversali? Diventa «irregolare» o almeno «indesiderato» – si potrebbe rispondere con termini ormai usuali. Nel sistema degli stati-nazione, chi non ha stato, chi non ha una appartenenza nazionale, perde automaticamente i diritti umani, finisce, nel mondo globalizzato, per trovarsi fuori dall’umanità. Perché ha diritto ad essere umano solo chi è cittadino. «Ci siamo accorti – avverte Arendt – che esiste un diritto ad avere diritti». Ma questo «diritto ad avere diritti» – questione politica e filosofica che resta aperta – non può essere garantito e non viene infatti garantito. Oggi più che mai. Il diritto si arresta di fronte allo straniero che è un non-persona.
Il cosiddetto «rimpatrio» degli zingari in Francia, promulgato da Sarkozy, e minacciato anche in Italia, fa vergogna all’Europa. Mentre i turisti vanno e vengono, tra Bali, New York e le Seychelles, liberi di circolare, i rom e i sinti vengono sottoposti a una espulsione poliziesca coatta spacciata come scelta volontaria. Per «fare ritorno» in Romania che, come si sa, non è la loro patria. Nessuno li vuole. Ma non si tratta solo di denunciare il trattamento subito da persone che a tutti gli effetti vengono considerate «indesiderate». Si tratta di un regresso pericoloso a una concezione premoderna della cittadinanza basata su diritti diseguali.
Donatella Di Cesare, filosofa