dibattito…
Di Shabbat, come è noto, è proibito cucinare. Ma se qualcuno l’ha fatto, il cibo si può mangiare? La risposta alla domanda dipende da tre variabili: 1. quando? nello stesso Shabbat, quando ancora il divieto di cucinare è in vigore, o anche dopo? 2. chi sarebbe coinvolto nel divieto? la persona che ha trasgredito o tutti quanti? 3. come è stata fatta la trasgressione, volontariamente o involontariamente? I Maestri si dividono (TB Chulin 15a) sulle risposte da dare ai casi che nascono da questa domanda particolare, che nasconde una domanda più grande e fondamentale: si può trarre godimento da una trasgressione, chi, come e quando? E’ anche questo uno degli aspetti in discussione nella polemica intellettual-morale di fine Agosto che ha agitato (poco) gli ultimi giorni delle vacanze: è lecito a chi scrive di morale usare un editore che avrebbe evaso le tasse? Molti scrittori si sono precipitati a distinguere le loro responsabilità di quello che scrivono, dalle responsabilità di chi stampa. Può essere che giuridicamente abbiano qualche ragione, ma bisogna vedere se e a qual punto avrebbero tratto vantaggio da una presunta illegalità. Eppure in questi giorni di Elul, l’aspetto strettamente giuridico non basta. Basta guardare i testi delle nostre tefillot con tutte le casistiche dei widduìm (le confessioni collettive). E’ lecito il godimento da un’azione scorretta, anche se non fatta da noi? Una colpa non intenzionale lascia del tutto innocenti? E che ne è del principio di responsabilità collettiva?
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma