Qui Venezia – L’architettura israeliana in mostra
L’architettura e il suo ruolo attivo nel plasmare la società e nel promuovere la qualità della vita e dei rapporti umani. Questo il tema dell’installazione “Kibbutz: An Architecture Without Precedents”, inaugurata venerdì all’interno del padiglione israeliano in occasione della dodicesima Mostra Internazionale di Architettura di Venezia.
L’esposizione, curata da Galia Bar-Or e dall’architetto Yuval Yaski, presenta il passato, il presente e il futuro del kibbutz, un modello di micro-città che assurge a simbolo della società che l’ha generato e che incorpora al suo interno le speranze e i sogni di una comunità. È la società a generare l’insediamento urbano, che a sua volta, come in un gioco di specchi, è il riflesso della struttura della società stessa con i suoi desideri, progetti e realizzazioni. Una nuova missione a Venezia per Israele, che proprio nell’anno in cui si celebra il centenario della nascita del kibbutz, cerca di dar nuova vita a un’istituzione che rappresenta un’esperienza unica nella storia del mondo. Una realtà che si fonda sulla collettività organizzata democraticamente, sull’opera volontaria, senza limiti ne costrizioni. Il Kibbutz rappresenta forse uno dei pochi esperimenti riusciti per quanto concerne la collettivizzazione del lavoro e della vita comunitaria.
“Noi non siamo interessati al mero giudizio artistico sull’esposizione – spiega Bar Or – quello che siamo interessati a dimostrare è come l’architettura abbia risposto in questo caso a un’ideale sociale e non abbia rappresentato una mera celebrazione dell’ego dell’architetto. Il kibbutz è un esempio emblematico di questo modus pensandi. Noi crediamo che, alla luce della crisi economica globale, ci sia spazio nel mondo per lo svilupparsi degli stessi ideali che sono alla base della struttura dei kibbutzim. Anche i kibbutzim di oggi, con la loro incomparabile rete di sicurezza e mutuo soccorso, potranno rappresentare un’inestimabile fonte di ispirazione.”
Nei tre piani del padiglione israeliano ai Giardini della Biennale, troviamo un’installazione formata da 200 blocchi di volantini contenenti immagini relative alla storia del Kibbutz: dai piani di costruzione a scatti di vita quotidiana. Ogni visitatore ha così la possibilità di prendere con sé le immagini che maggiormente lo attirano in modo da poter creare il suo personale catalogo dell’esposizione. Le pareti sono invece dedicate ai contributi video: uno di questi in particolare, realizzato dal regista israeliano Amos Gitai e intitolato “A Lullaby to My Father”, presenta le immagini della chadar ochel (sala da pranzo), del Kibbutz Kfar Masaryk, concepita dal padre architetto Munio Gitai Wienraub. Abbiamo poi quattro filmati che presentano i luoghi tipici del kibbutz e i cambiamenti che sono stati apportati negli ultimi anni in queste realtà. Le ultime due installazioni si compongono di materiali d’archivio organizzati per tema e di un filmato dedicato all’opera d’educazione portata avanti da Malka Hess del Kibbutz Sde Eliyahu.
Presente all’inaugurazione Paolo Baratta, presidente della Fondazione Biennale di Venezia, particolarmente fiero di poter ospitare un’esposizione dal così forte significato sociale e culturale. Dello stesso avviso Ofra Farhi (nell’immagine in alto), addetta culturale dell’Ambasciata di Israele in Italia che, dopo aver portato il saluto dell’ambasciatore Gideon Meir, ha ringraziato il presidente Baratta per l’opportunità e tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione della mostra.
Michael Calimani