Tacchi a spillo. L’Italia e l’Islam

Fino a che punto l’economia detta legge sulla politica? Fino a che punto contano il mercato, gli affari, il profitto? E sotto la pressione della crisi economica regge ancora la democrazia parlamentare? C’è da dubitarne – in Occidente e soprattutto in Italia. In tale contesto non stupisce la visita di Gheddafi. Non è la prima volta. Gli affari sono affari, anche se non hanno molto a che vedere con il bene pubblico e sono spesso privati, tanto privati da passare sotto silenzio.
Al di là poi dei petrodollari, la Libia si è offerta di «collaborare» per fare in modo che i disperati, che attraversano il deserto, non giungano fino alle rive del mediterraneo. Non importa come. Il sipario è calato su quel che avviene dietro le quinte. La coscienza è alleggerita e alla fin fine grata alla Libia che si offre come equivoco bastione per difendere la fortezza dell’Europa.
Grata al punto da considerare stravaganze e bizzarrie le mosse studiate e ponderate dell’ambiguo «leader» libico (perché poi «leader»? Non governa con poteri quasi assoluti da decenni?). Così oggi i giornali parlano di «show» a proposito della lezione sul Corano imposta da Gheddafi, esponente del panarabismo e restauratore della shari’a nel suo paese da dove, tra linciaggi e agguati mortali, nel 1967 – in concomitanza con la guerra dei sei giorni in Israele – furono cacciati tutti gli ebrei.
Una lezione sul Corano. Un monito affinché l’Islam sia la religione del futuro in Europa. Che male c’è? La domanda non nasce solo da quel «disincanto del mondo» che ha colpito da tempo l’Occidente. Qui il disincanto si mescola con il cinismo molto italiano, aumentato a dismisura negli ultimi tempi.
Tacchi a spillo, gonne attillate, generose scollature: immagine indegna e umiliante dell’Italia al femminile – promossa dal governo – pronta a vendere la propria presenza per un po’ di euro, a mettersi sul mercato per ascoltare una lezione di Corano. Non sanno o fanno finta di non sapere come sono trattate le donne nel mondo mussulmano? Certo non saranno tra le firmatarie dell’appello per salvare Sakineh dalla lapidazione. Pensano a sé: incassano i soldi e colgono la lezione sul Corano come una opportunità per una eventuale carriera. Seguono supinamente l’economia e le sue leggi (l’etica, ci dicono, è ormai un optional).
Non riflettono sul fatto che la donna come «altro», la donna nella sua alterità, non riesce a trovare spazio nell’Islam? Il che è poi sintomo della tendenza alla dominazione, alla difficoltà a riconoscere qualsiasi «altro» non musulmano. Il modo in cui vengono trattate le donne è infatti sempre la spia di una civiltà. Non ci riflettono perché, a loro volta, sebbene nella modalità diversa di un paese non pre-moderno, ma post-moderno, eppure irriducibilmente maschilista, sono soggetti secondari, persone non libere, perché non rispettate. Consapevoli o no, costituiscono un insulto per le donne di questo paese.

Donatella Di Cesare, filosofa