Voci a confronto

Iniziano oggi a Washington le trattative promosse da Obama per la pace in Medio Oriente. Trattative difficili, già fallite molte volte, sulla base di disaccordi sostanziali su temi come i confini, la sicurezza, l’eventuale “ritorno” di profughi palestinesi, il riconoscimento del carattere ebraico dello stato israeliano da parte dei palestinesi. Sono temi molto noti, esposti da anni, su cui non ci sono grandi novità. Tutti i giornali espongono questi punti, accentuando questo o quell’aspetto delle difficoltà, l’ottimismo o il pessimismo. Per una sintesi, consiglio di leggere l’articolo di Guido Olimpio sul Corriere e quello di Maurizio Molinari sulla Stampa, corredato dalla scheda di Aldo Baquis, sempre sulla Stampa. L’inizio della trattative è complicato dagli attacchi terroristici di Hamas (e forse di altre forze non marginali del fronte palestinese). Dopo le quattro vittime trucidate ieri a Hebron, c’è stata un attentato vicino a Ramallah con due feriti. La reazione degli abitanti degli insediamenti di Giudea e Samaria, che sono nell’obiettivo è stato di annunciare che le costruzioni dentro gli insediamenti ricominceranno (redazione di Avvenire) subito, qualche settimana prima della fine del blocco annunciato da Netanyahu sei mesi fa. Ma il regime delle costruzioni è una delle materie negoziali e l’Autorità Palestinese ha annunciato il ritiro qualora l’attività edilizia ripartisse. Nel frattempo ci sono delle aperture sia da parte di Netanyahu, che ha chiamato il presidente palestinese partner per la pace e ha assicurato di vedere un’occasione storica nelle trattative (Trincia sul Messaggero, Acquaro su Repubblica), sia soprattutto da parte del ministro della difesa e leader laburista Barak, che in un’intervista al “Jerusalem Post” ha proposto un piano di accordo che comprende la cessione delle parti di Gerusalemme più fittamente abitate da arabi al nuovo stato Palestinese (Battistini sul Corriere). I giornali si interrogano sul significato di questa uscita, se sia un “ballon d’essai” concordato con Netanyahu o una mossa autonoma di Barak, che magari preluda a una ristrutturazione politica in Israele (Baquis sulla Stampa). Nel frattempo però la trattativa di pace a molti appare un percorso difficilissimo, una “sfida impossibile” (Friedman su Repubblica). Molto interessante l’analisi di R.A. Segre sul Giornale, che rintraccia nell’economia le ragioni di una nuova forza israeliana che potrebbe metterlo almeno in parte al riparo dalle pressioni americane.

Ugo Volli