Qui Milano – Apertura e patrimonio
Nella cornice di palazzo Marino é stato presentato il programma della Giornata europea della cultura ebraica. A introdurre le manifestazioni previste per questa domenica, 5 settembre nella Sinagoga centrale di via Guastalla é stato il presidente della Comunità ebraica Roberto Jarach, che ha ricordato la grande collaborazione con la città “Quest’anno la quasi totalità degli eventi si svolgerà nella sinagoga di via Guastalla, perché é proprio la sinagoga ad essere il centro della cultura nella nostra tradizione ed è lí che ci teniamo ad accogliere i nostri concittadini”.
Il vicepresidente UCEI Claudia De Benedetti ha poi portato il saluto dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, mettendo in evidenza il doppio binario dello sviluppo della cultura ebraica attraverso i secoli, interno ed esterno. “Celebrare questo rapporto con la Giornata della Cultura vuol dire non solo far vedere la Diaspora ebraica nella sua dimensione di apertura, ma anche mettere in mostra e valorizzare un inestimabile patrimonio” ha concluso. Per le istituzioni presenti l’assessore alla Cultura del Comune di Milano Finazzer Floris e il presidente del Consiglio comunale Manfredi Palmeri che hanno sottolineato il contributo della Comunità ebraica alla vita della città, sul piano culturale e non solo.
Di seguito l’intervento della vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Claudia De Benedetti:
“E’ per me un onore prendere la parola, in rappresentanza degli ebrei italiani, alla conferenza stampa
che il Comune di Milano e la Comunità Ebraica hanno promosso per presentare l’XI edizione della
Giornata Europea della Cultura Ebraica che si svolgerà domenica 5 settembre in 28 paesi europei
ed in 62 città italiane. Il tema di quest’anno è “L’Arte e l’ebraismo”. L’evento è sotto l’Alto
Patronato del Presidente della Repubblica e gode del patrocinio del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica e del Ministro
per le Politiche Europee.
Dopo le ultime edizioni (in cui si sono succedute, quali città capofila, Trieste, Milano e Mantova, e lo scorso
anno Trani, la Giornata vede quest’anno Livorno, un’altra città che si affaccia sul mare, quale città da cui “partono” le manifestazioni.
La Giornata Europea della Cultura Ebraica, ormai da diversi anni, si svolge in un’atmosfera di confronto e
di dialogo con la cittadinanza del nostro paese, con le Autorità e le Amministrazioni dei nostri comuni,
delle provincie e delle Regioni e con le più alte Autorità dello stato, esaltando la conoscenza e
l’approfondimento della cultura ebraica e contribuendo a combattere pregiudizi.
Tutte le 21 comunità ebraiche italiane, insieme a molti altri centri disseminati sul territorio nazionale,
aprono le proprie porte alle persone che vogliono e desiderano scoprire la storia più che bimillenaria di un
popolo così antico, quello ebraico, che affonda le proprie radici qui in Italia.
Fin dai tempi di Abramo, di Mosè e di Daniele, la vita ebraica è sempre stata segnata dalla lontananza. Da duemila anni in qua, fino alla fondazione dello Stato di Israele, la cultura ebraica è stata elaborata per lo più lontano dalla sua terra originaria: in Mesopotamia e in Spagna, in Francia e in Egitto, in Polonia e anche molto in Italia, sede con Roma delle più antica comunità ebraica occidentale, ininterrottamente attiva da più di due millenni. Questa condizione di lontananza è testimoniata perfino nel nome: ivrì, ebreo, che, secondo l’etimologia più diffusa, è colui che passa, che attraversa – fiumi, frontiere, difficoltà, persecuzioni, generazioni. Essa ha due aspetti. Da un lato è esilio, galut, lontananza dolorosa e luttuosa, dipendenza da potenze ostili, pericolo, impossibilità di vera autonomia. Dall’altra è incontro, scambio, missione. Israele non ha velleità di convertire gli altri popoli, ma fin dai tempi biblici si sente investito di una missione sacerdotale e sa di dover lavorare per la diffusione universale del monoteismo: un giorno, si recita nelle preghiere quotidiane, tutti riconosceranno l’unità di D-o e perfino il suo nome sarà uno.
La disseminazione (diaspora) dell’ebraismo nel mondo da questo punto di vista è un fatto positivo, è, letteralmente, semina.
Riconoscere i giusti nelle nazioni che incontra è una delle missioni che Israele ha sempre compiuto volentieri, dall’Avimelech biblico a Carlo Alberto onorato ancora oggi in tutte le sinagoghe del Piemonte per aver decretato l’emancipazione, ai Giusti delle Nazioni che hanno sottratto delle vittime al nazismo e sono celebrati in Israele.
Anche la cultura ebraica ha avuto nei secoli lo stesso doppio aspetto. Da un lato è stata una costruzione interna straordinariamente ricca e complessa, con i suoi maestri e le sue scuole, le sue fasi e le sue discussioni. Solo pochi nomi di questa grande elaborazione culturale sono arrivati alla notorietà nel mondo occidentale, per esempio Maimonide o i chassidim dell’Europa orientale. Ma per quantità e qualità la cultura ebraica interna ha dimensioni e complessità pari a quella della grande tradizione europea, ricca com’è di riflessione teorica e di poesia, di legislazione e di costumi quotidiani. Tale cultura interna, ma non necessariamente segreta o esoterica, solo appartenente a un certo popolo ed espressa nella sua lingua, è forse il solo esempio al mondo di una civiltà senza territorio, custodita nei cuori e nei gesti, non da confini ed eserciti.
Accanto a essa vi è una cultura esterna, frutto degli incontri e degli scambi, attiva in parte da sempre: si pensi al ruolo delle traduzioni ebraiche dall’arabo nelle lingue occidentali durante il medioevo, o alla medicina ebraica. Essa però è esplosa in Occidente a partire dalla modernità, di cui è una componente essenziale. Sarebbe impossibile concepire il mondo occidentale contemporaneo senza Freud e Marx, Kafka e Wittegenstein, Mahler e Proust, solo per fare alcuni nomi a caso.
E’ importante comprendere che la cultura esterna non ha in alcun modo sostituito o ibridato quella interna. Essa è il frutto di un incontro, di uno scambio, che non è stato certamente innocuo o indolore, ma è stato un terreno di scambio, di incontro, un ponte fra le culture. Come i numerosi linguaggi misti che le comunità ebraiche hanno elaborato nei loro diversi soggiorni, dal più celebre, l’yiddish ebraico tedesco, fino al giudaico-piemontese e al dialetto della comunità di Roma.
Vi sono stati luoghi in cui l’incontro fra ebraismo e nazioni ospitanti è stato particolarmente difficile e doloroso, fino all’orrore della Shoà. E vi sono stati luoghi in cui il rapporto è stato generalmente più facile e costruttivo, intessendo rapporti, dialoghi e collaborazioni per secoli.
Celebrare questo rapporto con la Giornata della Cultura Ebraica Europea vuol dire non solo far vedere la diaspora ebraica nella sua dimensione di apertura, ma anche mettere in mostra e valorizzare un inestimabile patrimonio”.