Un bilancio della Giornata con Claudio Procaccia
Claudio Procaccia 45 anni , romano è da qualche mese il direttore del Dipartimento Cultura della Comunità Ebraica di Roma e dal 2001 è consulente all’archivio storico della Comunità (ASCER). Professore a contratto per la cattedra di Storia economica, alla Facoltà di Economia dell’Università di Cassino, dal 2002, presiede l’associazione “Le Cinque Scole”, che svolge attività di divulgazione della storia della Comunità ebraica romana, nel novembre 2008 è stato nominato delegato alla Memoria nella Giunta Alemanno e lo è restato sino a poco tempo fa, quando i nuovi incarichi comunitari gli hanno impedito di continuare l’attività di Consigliere. In questi mesi si è dedicato insieme a Miriam Haiun all’organizzazione degli eventi della Giornata della Cultura.
Quale bilancio puoi trarre dalle iniziative della Comunità Ebraica di Roma per la undicesima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica?
Il bilancio della Giornata è più che positivo, il pubblico ha apprezzato la varietà dell’offerta culturale ed è stata una grande festa con un clima disteso ed allegro. Vanno messe a punto alcune iniziative, ma la base su cui lavorare è ottima. E per il prossimo anno abbiamo molti mesi in più di tempo per preparare gli eventi e trovare i finanziamenti. Cercheremo di organizzare nuove manifestazioni durante l’anno sul tema della prossima Giornata in modo che la prima domenica di settembre del 2011 sia il momento clou di un anno di attività. Il motivo fondamentale è quello di riaffermare la vitalità e la modernità dell’Ebraismo e la rinascita culturale delle comunità capitolina, già in atto da tempo.
Quale è il criterio a cui avete fatto riferimento nell’organizzare gli eventi dedicati alla Giornata che si è appena conclusa?
Ci siamo riferiti indubbiamente al titolo di questa giornata, l’arte ebraica, anche se, in ogni caso, non si poteva prescindere dall’organizzare alcuni eventi standard come l’apertura delle sinagoghe e del museo e le visite guidate nel ex-ghetto di Roma. Il criterio ispiratore di quest’anno è stato quello di variare l’offerta culturale rispetto agli anni precedenti,durante i quali sono state organizzate manifestazioni di notevole rilievo, ma che non andavano ripetute per richiamare anche chi, ad esempio, ha già visitato il Tempio Maggiore ed il Museo. Va rilevato, tra l’altro, che lo sforzo è indirizzato anche a superate l’handicap del collocamento temporale della giornata, non favorevolissimo, perché non sono ancora iniziate le scuole e quindi non possiamo contare sulla presenza di studenti. Peraltro, la giornata si svolge in un periodo tardo estivo che invita chi può a prolungare o a iniziare le vacanze.
Che significa variare l’offerta?
Abbiamo cercato di inserire delle novità anche negli eventi già proposti gli anni precedenti. Durante le visite guidate nell’ex-ghetto, ad esempio, ci sono stati attori che hanno recitato descrivendo la vita del ghetto, proponendo anche testi di poeti e scrittori dell’800 anche non ebrei. Ci sembrava importante, tra l’altro, mostrare come “gli altri” vedevano la realtà del recinto coevo. La seconda novità è stato il coinvolgimento nell’organizzazione degli eventi di enti non ebraici, fra cui la biblioteca Casanatense che ha esposto libri antichi, di cui alcuni poco noti anche agli studiosi. Oltre a ciò sono stati chiamati studiosi e divulgatori che, alla sala Margana, hanno esposto i risultati delle loro ricerche in un ciclo di conferenze relative al rapporto tra arte ed ebraismo. In ultimo vorrei sottolineare l’apertura del Tempio di via Balbo, che rappresenta una delle aree nuove della presenza ebraica del dopo Emancipazione, composta non solo da ebrei romani. I frequentatori del Tempio di via Balbo erano, non di rado, benestanti, colti, a volte anche un po’ lontani dalla stretta osservanza delle regole ebraiche.
In taluni casi, l’Emancipazione ha creato un equivoco tra “integrazione” ed “assimilazione” e spesso i ceti abbienti e colti tendevano a considerare l’ebraismo come retaggio storico e non quale elemento fondante della propria identità. Tendenzialmente, gli afferenti alle fasce più povere erano più vicini, per alcuni versi, alla mentalità “da ghetto” ed erano più legati alla propria identità ebraica. Tuttavia, l’alternativa all’assimilazione non può essere il ghetto. L’arte e l’architettura legata ai luoghi di culto ebraici romani e non solo, ci illuminano su questo difficile percorso fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo costituiti dall’ottenimento della piena cittadinanza e dall’appartenenza ad un gruppo culturale. Fra gli eventi organizzati vorrei segnalare anche le mostre che testimoniano lo stretto legame fra la Diaspora e Eretz Israel, in cui sono esposte opere di artisti israeliani. Vanno, altresì, evidenziati i due concerti (quello del Tempio Maggiore) e quello femminile, a cui è stato affidato anche il compito di combattere l’idea di alcuni, del ruolo ancillare della donna nella cultura ebraica.
In che cosa consiste il tuo lavoro?
Il mio lavoro in questo momento è molto articolato e complesso. Sono il Direttore del Dipartimento Cultura, che coordina le attività del Centro di Cultura ebraica, diretto da Miriam Haiun, e dell’Archivio di cui sono direttore ad interim. Ultimamente mi è stato affidata anche la Direzione del Museo (sempre ad interim).
Come è iniziata la tua esperienza lavorativa in Comunità e come interpreti il tuo attuale ruolo come direttore del Museo?
La mia storia è iniziata proprio come guida nel periodo in cui a dirigere il Museo c’era Anna Blayer (a cui devo personalmente e professionalmente moltissimo) e risale al 1999. E’ qui che ho imparato molte delle dinamiche della vita comunitaria. Daniela Di Castro ha dato una svolta significativa al Museo creando una “macchina culturale” di rilievo internazionale. L’obiettivo è di portare avanti una serie di iniziative e di attività che Daniela aveva cominciato o progettato. D’altro lato stiamo promuovendo una serie di nuove proposte con le scuole e la creazione di una rete di rapporti che diano vita ad una sinergia fra i vari dipartimenti della Comunità per valorizzare il capitale umano ed i beni culturali della CER. Quella della Comunità è una sfida enorme culturale, cultuale demografica ed economica, tenendo conto degli “input” che la modernità impone, una sfida con noi stessi, per la Keillah e con l’esterno.
Come ti senti ad aver raccolto questa sfida?
Un grande senso di responsabilità, ma va rafforzata la collegialità. Sento la necessità di contribuire a creare un grande circuito. Io vorrei un settore culturale inclusivo, che sia il portato della collaborazione tra i diversi uffici della CER e con altre realtà nazionali ed internazionali, ebraiche e non. L’idea di fondo è quella di individuare nuove realtà associative ed iniziative che possano rappresentare un interfaccia tra le istituzioni comunitarie e gli iscritti alla CER per avvicinare soprattutto chi è distante dalla vita comunitaria, anche perché si sente culturalmente poco rappresentato. In tale senso, la collaborazione con ogni bet ha kneset diventa fondamentale, perché i Templi hanno un rapporto diretto con gli iscritti, anche con quelli che poco frequentano le tefilloth. Le collaborazioni con diverse istituzioni ha la doppia funzione di far meglio conoscere il mondo ebraico ed allargare la sfera di azione della nostra comunità rispondendo in modo positivo alle sfide che la modernità ci impone, anche in termini di “globalizzazione” dell’ebraismo.
Lucilla Efrati