Qui Roma – Un anno da affrontare con coraggio
L’anno che viene è colmo di sfide e impegni importanti per l’ebraismo italiano. Sfide che solo con la nostra volontà autentica potremo determinarne con un esito positivo. La prima sfida è quella della responsabilità con cui saremo chiamati a confrontarci nel prossimo Congresso dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Un Congresso nel quale dovremmo stabilire nuove regole che tengano unito l’ebraismo italiano. Le riforme dello Statuto saranno la cartina di tornasole di questa volontà. Credo che al di là dei tecnicismi e degli equilibri, dobbiamo confrontarci oggi più che mai sul nostro legame con Israele e avere coraggio di recuperare in termini di partecipazione elettiva e rappresentativa quei nostri fratelli che dall’Italia hanno fatto l’Alià. Solo insieme a loro potremo costruire un futuro per i nostri figli. Prima della Shoah erano in pochi a credere che si potesse realizzare il sogno sionista della nascita dello Stato d’Israele. E quei pionieri nella stragrande maggioranza scamparono allo sterminio nazifascista. Oggi noi ebrei italiani (e non solo dall’Italia) siamo troppo coinvolti in discussioni certamente importanti, per esempio riguardo ai nostri modelli di ebraismo, il problema delle conversioni dei minori, un maggior rigore nella kasherut, e via dicendo. Ma altri, e con ogni mezzo, stanno pianificando l’islamizzazione dell’Europa ed la conseguente espulsione degli ebrei. Un’operazione che non passa solo per la “spada del Saladino” ma anche con la semplice conquista delle banche, delle società energetiche, delle industrie strategiche. Fare finta di niente in nome del principio di accoglienza è un suicidio che dobbiamo evitare e combattere. Dobbiamo farlo insieme a quei musulmani che credono nei valori di libertà e democrazia e che hanno giurato sulla Costituzione italiana. Legarci agli italiani in Israele, può significare la progettazione e un investimento sul nostro futuro. Una assicurazione per i nostri figli, oltre che il compimento della mitzvà dell’Alià. Ma spero anche che il prossimo sia un anno di maggior cooperazione e sostegno con le Comunità italiane meno numerose. Un dovere al quale non possiamo sottrarci, anche se gestire e amministrare un grande Comunità, a cominciare dalla scuole ebraiche, ci comporta sforzi e sacrifici diversi e spesso difficilmente immaginabili. Che questo sia l’anno della liberazione di Gilad Shalit. E preghiamo per lui. Soprattutto speriamo sia l’anno della vera pace fra Israele con i suoi vicini. Così come negli ultimi anni abbiamo avuto fiducia di fronte all’ipotesi di pace a Gaza durante il doloroso ritiro di Sharon o abbiamo pianto e sostenuto i valorosi soldati di Zahal durante le ultime guerre in Libano e a Gaza, oggi sostenere il governo del Primo ministro Netanyahu significa solo sostenere la democrazia israeliana. Non abbiamo il diritto, dalla nostra comoda Golà, di esprimere giudizi sulle scelte, anche le più difficili e le più dolorose, anche le più dure e le più concessive, che il popolo israeliano riterrà di affrontare pur di arrivare alla pace e pur di garantire la protezione d’Israele da chi vuole cancellarla con la minaccia atomica.
Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma