Un volto di cui non possiamo fare a meno
Continua nel mondo la mobilitazione per Sakineh, la donna iraniana reclusa nel carcere di Tabriz che rischia di essere lapidata entro la fine della settimana. Molte personalità nel mondo si stanno spendendo per tenere alti i riflettori sul regime di Teheran, e i figli della donna moltiplicano gli appelli agli occidentali perché continuino nei loro sforzi.
Di questa vicenda – oltre alla barbarie – colpiscono a mio parere due aspetti: il ruolo fondamentale dell’opinione pubblica e l’importanza di un volto da agganciare alla protesta. Persino una dittatura feroce e paranoica come quella dei mullah, infatti, non può ignorare ciò che accade al di là dei suoi confini; nessun paese può considerarsi – a eccezione forse della Corea del Nord e della Birmania – esterno alla dimensione globalizzata del pianeta. L’Iran, che quotidianamente lancia proclami bellicosi contro gli Stati Uniti, l’Occidente e Israele, coltiva contemporaneamente relazioni internazionali di cui ha una disperata necessità: Turchia, Venezuela, Brasile e Siria sono gli interlocutori più importanti, e Ahmadinejad sa bene che la lapidazione di Sakineh può rivelarsi in questo senso più dannosa di qualunque progetto progetto atomico. Perché? Probabilmente perché ognuno di noi, come ricordava Primo Levi, ha bisogno di collegare un’emozione, un’istanza umanitaria, una protesta per un diritto violato, persino un sentimento di odio, a un volto, a una storia personale, a un episodio. Il volto della Madonna di Delacroix, la storia di Rosa Parker, lo sguardo di una ragazzina afghana, l’omicidio di Neda, il processo a Adof Eichmann, consentono all’opinione pubblica e ai singoli individui di avvertire un’empatia per i moti francesi del 1830, per la lotta degli afroamericani nel Dopoguerra, per le vittime della guerra, per la repressione terribile dell’onda verde, per l’atrocità assoluta del nazismo. Senza una faccia e senza uno slogan l’essere umano non è in grado di indignarsi ed emozionarsi con la stessa intensità neanche di fronte alla più clamorosa delle violenze.
È importante rendersene conto, e moltiplicare l’impegno per la vita di Sakineh. Perché lei ha bisogno di noi, ma anche perché noi non possiamo fare a meno del suo volto, se vogliamo comportarci da esseri umani.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas