Jean Samuel (1922-2010)
Era di tre anni più giovane di Primo Levi (era nato nel 1922 a Wasselonne in Belgio) ed era stato arrestato, come Levi, all’inizio del 1944 a Dausse dans le Lot-et-Garonne, poi deportato ad Auschwitz-Monowitz, ma a differenza di Levi visse anche la terribile esperienza delle “marce della morte”.
Ora che Jean Samuel ci ha lasciati, ricordo la sua figura mite e signorile; uno stile di vita gemellare a quello dello scrittore torinese. Ricordo la sua partecipazione ai convegni dell’ANED degli anni Ottanta e soprattutto la sua commossa testimonianza al convegno torinese del 1988, un anno dopo la morte di Levi. Invitato da Bruno Vasari, di cui era amico, in quella circostanza Samuel a Torino rimase poche ore. Era come se non riuscisse a resistere all’idea di una Torino senza Levi; nella sala del Consiglio regionale lesse una breve, ma intensa testimonianza, che penso debba essere considerata la scintilla da cui verrà fuori, molti anni dopo, il libro-intervista Il m’appelait Pikolo. Un compagnon de Primo Levi raconte (Laffont, 2007; tr. ital. Frassinelli, 2008).
Per via della comune amicizia con Maurice Goldstein, presidente della Fondation Auschwitz di Bruxelles, a quel tempo i legami fra Torino e Bruxelles, e specialmente fra Vasari e Samuel, erano piuttosto stretti, come non potevano non essere fra due “personaggi” di Levi. Samuel era Pikolo, Vasari più sinteticamente B.V, il destinatario della famosa poesia Il superstite.
A Samuel è toccata in sorte una parte più impegnativa, molto impegnativa, forse troppo: quella del personaggio chiamato a diventare il simbolo della letteratura e delle sue potenzialità nella estrema condizione del Lager. Con il trascorrere degli anni, e il crescere della fortuna di Levi, forse a sua insaputa, Samuel accettato questa parte fino a esserne sopraffatto: egli rappresentava la forza che la memoria letteraria, la poesia sa conservare nelle avversità. Per il pubblico italiano, ma non soltanto per questo, egli ha rappresentato la potenza dell’umanesimo classico, del Dante umanista.
Un ruolo simbolico, certo molto importante nell’interpretazione di uno scrittore come Levi, le cui inclinazioni letterarie a lungo sono state schiacciate dall’immagine dello scrittore-chimico, dello scienziato-scrittore. L’episodio di Pikolo e del canto di Ulisse chiamava in causa il tema, centrale in Se questo è un uomo, delle fonti letterarie.
Jean Samuel era invece, innanzitutto, un uomo, non un simbolo. E, come altri personaggi-uomo di Levi (per esempio Henri o Cesare) non subito riuscì a riconoscersi nella pagina del libro.
Il suo essere così presente “dentro” l’opera di Levi non può esonerarci oggi dal ricordarlo come uomo e in particolar modo come amico di Levi. E per farlo è necessario spostare la nostra attenzione ad un altro periodo della biografia leviana altrettanto importante e cioè il periodo del ritorno, del primo tentativo, difficile per entrambi, di ricostruirsi una vita normale.
I brani della corrispondenza privata che Samuel pubblica nel suo libro sono belli almeno quanto il capitolo di Ulisse e rappresentano senza ombra di dubbio il carteggio di Levi più notevole fra quelli che oggi si conoscono.
La prima lettera di Levi è del 23 marzo 1946 e risponde a una missiva nella quale Jean aveva scritto: “Il a fallu un hasard extraordinaire. Tout semblait nous empêcher de nous retrouver”. Queste lettere bellissime, come quelle che si scambiarono levi e Leonardo De Benedetti, in quelle stesse settimane e mesi, lasciano intravedere l’importanza di un tema relativo alla esperienza concentrazionaria che spesso tendiamo a sottovalutare.
In quei primi mesi, in quelle prime settimane, il primo cercarsi e l’affannoso ritrovarsi dei compagni superstiti anima un dialogo epistolare europeo che richiederebbe uno studio specifico. Erano i giorni del silenzio, della testimonianza non accolta nemmeno nel grembo famigliare. I prigionieri si cercavano e occorreva un “hasard estraordinaire” per riuscire a farcela e potersi riabbracciare come accadde a Primo e a Pikolo. E’ la preistoria della storia della deportazione.
Prima che essere affidata a un libro la memoria della propria drammatica esperienza era affidata a lettere, a lunghe lettere private che precedono il racconto scritto e in qualche modo lo rendono possibile.
In questo antefatto, a parlare e a raccontare i guai passati sono due Ulisse ritornati alla loro Itaca dopo aver temuto il naufragio. I salvati si rincorrono, si mandano lettere, si cercano e chiedono a loro volta notizie di altri sopravvissuti. Questo dialogo straordinario, che meriterebbe una ricerca sistematica, ha un momento altissimo nella corrispondenza fra Levi e Samuel, nel periodo compreso fra liberazione dei campi e prima edizione di Se questo è un uomo.
In nessun altro luogo troviamo risposte adeguate al problema del ritorno dai lager, alla speranza solare della vita che rinasceva dopo l’abominio. Sono settimane e giorni di intensi racconti, ma anche di spensieratezza, di incontri reali non sempre andati a buon fine, di un riabbracciarsi nella libertà e, soprattutto, la felicità consiste nel ritrovare l’amore per la vita. Nell’estate 1947, poche settimane dopo che Levi aveva inviato in pre-lettura il capitolo su Pikolo, i due amici meditano di incontrarsi sulla Costa Azzurra (“eravamo giovani fra giovani”). Samuel vedeva a Nizza per la prima volta in vita sua il mar Mediterraneo di Ulisse. Levi medita di raggiungerlo su una Lambretta che aveva appena acquistato, ma alla frontiera di Mentone lo bloccano perché non ha il passaporto, che non ha nemmeno Jean. I doganieri, senza sapere quale era la loro storia, acconsentono ad un breve incontro negli uffici. Primo porta in dono della frutta e della cioccolata. Ora che Jean Samuel ci ha lasciato ci piace ricordare così il loro incontro e la loro lunga amicizia.
Alberto Cavaglion