Kippur…

Il Talmùd dedica un intero trattato al giorno di Kippur che, paradossalmente, non è chiamato “Yom Kippur” ma “Yomà”, “il Giorno”. Il Giorno per antonomasia, quasi come l’unica possibilità di passare 25 ore come un giorno. E’ indubbio che il Giorno del Kippur costituisce quella dimensione più sentita dalla maggior parte degli ebrei e non sempre comprendiamo il senso di questo strano e profondo sentimento. Viene istintivo leggere questo fenomeno come una sorta di scorciatoia che molti ebrei intravedono nella celebrazione del Kippur che in un’unica volta l’anno ci vede assolvere ai nostri doveri di ebrei. Quell’ “una tantum” fuori dall’ordinario che vorrebbe pareggiare il conto di un debito di impegno ebraico troppo misero nella vita di tutti i giorni. C’è chi privilegia l’aspetto materiale, direi folkloristico del Kippur, digiunano pensando al cibo che li attende la sera, ma pur sempre digiunano! C’è poi chi intravede nell’osservanza del Kippur una dimensione sociale, comunitaria, anche nel profondo: giorno di presa di coscienza, di confessione collettiva, di riconciliazione. Sono invece ottimisticamente convinto che nel vivere questo Giorno straordinario, gli ebrei siano molto più intrisi di Torah di quanto spesso vogliano ammettere. C’è una frase dello Zohar, il testo base della Kabbalà, che è sconvolgente per chi l’accetta nel suo pieno significato direi esistenziale: “Israel vehoraiità had hu”, “il popolo di Israele e la Torah sono la stessa identica cosa!”. Il Giorno di Kippur è intimamente legato ai Dieci Comandamenti, alle Tavole del Patto. Il popolo di Israele ha infatti ricevuto le Tavole, quelle che poi ha conservato intatte, proprio il 10 di Tishrì, il Giorno di Kippur. Il Giorno del nostro digiuno è dunque il Giorno in cui riceviamo le Tavole che poi porteremo sempre con noi nell’Arca accanto ai pezzi rotti delle prime Tavole infrante.

Roberto Della Rocca, rabbino