Voci a confronto

Nella giornata nella quale tutti i quotidiani dedicano grande spazio alle vicende Unicredit-Profumo-Libia, è doveroso aprire questa rassegna con la lunga intervista di Francesco Specchia a Tarak Ben Ammar che troviamo su Libero: vi è spazio per diversi argomenti, con alcune osservazioni assai discutibili fatte da questo parente di Bourguiba, nato in un suk, ma diventato mezzo  italiano; il lettore attento si divertirà egli stesso a rilevarle. Si parla di banche, ovviamente, e di finanza internazionale, ma si parla anche di cinematografia, di televisione, di politica internazionale, di aiuti finanziari ai palestinesi (che il nostro conferma di fare personalmente). Ed anche Ben Ammar sposa la discutibile teoria che, senza il conflitto tra Israele e Palestinesi, non ci sarebbero le tensioni che scuotono tutto il MO. Un’intervista che dimostra anche quanto sia vero che per fare fortuna bisogna essere capaci di andare d’accordo un po’ con tutti. Articolo che tutti dovrebbero leggere è quello scritto da Pierluigi Battista sul Corriere a commento delle visite a pagamento nei campi di sterminio guidate da David Irving; va bene la libertà di espressione, ma non è intolleranza fermare il dileggio alle vittime di tante mostruosità; non è altro che un doveroso atto di dignità impedire certe azioni che non sono solo proibite dalle leggi degli stati, ma dal normale sentimento morale. Vergognosa forma di turismo…questa di Irving. Molto spazio è dedicato dalle varie testate al primo discorso (dei due previsti) di Ahmadinejad all’ONU. Senza il suo traduttore ufficiale, non è ben chiaro se quanto pronunciato in farsi dal dittatore iraniano corrisponda al testo reso disponibile ai pochi ascoltatori presenti in aula. Sembrerebbe comunque che non abbia parlato del tema di quest’anno, la fame nel mondo, ma abbia piuttosto preferito attaccare il Grande Satana che si macchia delle identiche colpe addebitate all’Iran con la prossima esecuzione di una certa Lewis, disabile mentale, condannata negli USA per omicidio; l’Iran, al contrario, non sarebbe colpevole di simili barbarie e non avrebbe condannato a morte la Sakineh. Tra i numerosi articoli sul tema segnalerei quello del Riformista che ci ricorda come Ahmadinejad, a New York grazie agli impegni assunti dagli USA nei confronti delle varie nazioni di permettere sempre e comunque la presenza di tutti i governanti in un’area di 40 chilometri attorno al Palazzo di vetro, è ora anche ospite di numerosi salotti; e questo avviene mentre l’onda verde si fa nuovamente sentire a Teheran, dove la ventiseienne Shiva Ahari viene ancora una volta arrestata dal regime dei Mullah (sono 8 anni che varca regolarmente le porte della prigione, e dobbiamo meditare su che cosa significa ciò per questa e per tante altre giovani donne). Sempre sul discorso di Ahmadinejad segnalo ancora Alessandra Farkas che, sul Corriere, riporta la promessa di guerra senza limiti che l’Iran sarebbe pronta a scatenare contro gli USA nel caso venisse attaccato. Mentre proseguono lontano dai riflettori le trattative tra israeliani e palestinesi, molti commentatori dichiarano che Netanyahu penserebbe ad un referendum qualora, verso la fine dell’anno, riuscisse a raggiungere un accordo; proprio quel risultato al quale mira il presidente americano ma nel quale ben pochi cittadini israeliani e palestinesi (ed anche americani) sembrano credere. Interessante l’iniziativa dell’ex presidente Clinton, ripresa da Maurizio Molinari su La Stampa, che ha riunito il presidente Peres, il principe del Bahrain (che ha stretto la mano al presidente del non riconosciuto stato di Israele), il PM Fayyad per discutere “come se la pace ci fosse già”. E’ innegabile che Bill Clinton abbia sempre molto lavorato in questa direzione, ma i suoi sforzi non hanno prodotto grandi risultati, ed al contrario sono stati spesso la causa di gravi lutti (di reazione). Intanto l’economia nelle terre palestinesi continua a galoppare ed Italia Oggi ne parla, ricordando le azioni di Fayyad, capace economista; è ora in costruzione, tra tante simili iniziative, anche una torre girevole che svetterà presto su Ramallah, nei pressi della Muqata, coi suoi 100 metri di altezza. Ed anche Jenin non è più quella che fu, tutta intenta a diventare la città simbolo dello sviluppo. Diverse sono, al contrario, le cupole di ferro delle quali parla Michele Giorgio sul Manifesto: il lettore di questo quotidiano potrà solo arrivare con l’immaginazione a capire che queste costosissime costruzioni israeliane, un sistema antimissile, sono rese necessarie per la difesa dei cittadini di uno stato che vuole la pace ma che è continuamente minacciato di annientamento. Giorgio naturalmente lo nasconde, mentre scrive che Iron Dom (appunto la Cupola di Ferro) servirebbe solo per accorciare i tempi che ci portano alla prossima guerra voluta da Israele (mentre quella dell’Iran sarebbe una semplice innocente reazione). Buffa su l’Opinione ricorda gli enormi aiuti ricevuti dai palestinesi: tra USA, EU e paesi arabi oltre un miliardo di euro all’anno, senza confronto possibile con quanto viene concesso a tanti altri disgraziati e profughi in giro per il mondo. A fronte di queste cifre leggiamo sull’Osservatore Romano che Fayyad avrebbe fatto sapere che la Palestina ha la necessità assoluta di ricevere un altro mezzo miliardo entro la fine del corrente anno. Continuano su La Stampa le inchieste di Francesca Paci: oggi parla delle prossime elezioni in Egitto dove, al momento, l’unico candidato è il figlio di Mubarak, valente economista che sarebbe il primo presidente a non provenire dalle forze armate dalla caduta della monarchia. Difficile è la lettura dell’articolo del filosofo Alberto Burgio che, sulle colonne dell’Unità, spiega che “la nostra patria non è solo nostra”; più che una proposta contro il razzismo, come si legge nel titolo, sembra un’apertura totale alla fine della nostra civiltà; da notare l’assenza totale di quanto è tramato dai nostri nemici. Questa è la mia visione, evidentemente, mentre per Burgio saremmo noi che abbiamo colpevolmente la pretesa di essere superiori. Ancora criticabile appare all’autore di questa rassegna l’articolo che troviamo sul Fatto dove viene descritta l’operazione di introduzione in Israele di un gruppo di donne palestinesi; sono state prelevate da altre donne, israeliane, che, dopo averle fatte vestire con jeans, le hanno fatte passare attraverso i posti di controllo per trascorrere insieme una giornata a Tel Aviv e sulle coste del Mediterraneo; dal 1991 è difficile per i palestinesi avere dei permessi per entrare in Israele a meno che vi siano ragioni umanitarie o altre comunque valide. Sono leggi i cui motivi sono ben noti ai lettori di questa rassegna, ma vengono del tutto nascosti sulle colonne del quotidiano che le presenta come del tutto inumane.
Emanuel Segre Amar

22-9-10