Sukkot…

Quando Bil’am fu costretto a benedire Israele, osservando l’accampamento dall’alto, iniziò con le parole ma tovu ohalekha , “quanto sono belle le tue tende”. Stando a questa fonte, nel deserto gli ebrei abitavano in tende, come in tende avevano abitato i Patriarchi. Tra due giorni sarà Sukkot, e noi dovremo tornare a vivere in sukkot, capanne, per ricordare le abitazioni del deserto. Ma tende e capanne non sono la stessa cosa. La tenda, per quanto abitazione da nomade, presuppone una certa evoluzione tecnologica, un filato tessuto e cucito (oggi ce ne sono superaccessoriate, a disposizione di capi di Stato). La capanna è molto più primitiva: basta raccogliere delle frasche e usarle per protezione. L’unico intervento che prescrive la regola è il taglio, l’interruzione del rapporto con la terra, ma oltre non si può andare, perché se si trasforma il ramo tagliato in utensile non va più bene. Simbolicamente, la sukkà è un tuffo alle origini della civiltà, in uno stato tanto primordiale quanto precario.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma